Luci nel Buio

” Questa seconda edizione della mostra Luci nel Buio, allestita nella Chiesa di Santa Maria Maddalena, si pone sulla scia della prima edizione con l’intento di incoraggiare i valori spirituali propri dell’arte figurativa. Non una mostra di arte sacra rivolta al culto e alle esigenze della liturgia, ma una mostra di orizzonti umanistici, dove la spiritualità si manifesta come capacità di dialogo, innanzitutto interiore, e poi, di riflesso, collettivo. Spiritualità che non si astrae dal mondo, ma lo abita e ne percorre i sentieri assurdi e caotici calandosi nello smarrimento, nel dubbio, nello sgomento esistenziale. Spiritualità come macerazione interiore, e dunque come cr-isi, come fermento da cui si genera ogni cr-escita e sgorga ogni genuino atto cr-eativo.


Questo è il cr-edo degli artisti (ed è curioso notare come tutti questi termini hanno una radice verbale comune). Un credo, quello degli artisti, che non proietta la testa tra le nuvole, ma che piuttosto conduce il cielo sulla terra, trasformando i sogni in opere concrete. Volano alto, gli artisti, ma non come Icaro, le cui ali di cera si sciolgono al sole lasciandolo precipitare al suolo. Gli artisti, i poeti, volano restando con i piedi ben radicati al suolo. Per questo sono anime in pena. Anime in cr-isi appunto, vaganti nel buio, trafitte da raggi di sole. Coltivano alti ideali, gli artisti, al prezzo di sconfitte amarissime e sanguinanti ferite. Incanti e disincanti fusi tra di loro. Un magma incandescente, agli antipodi di quell’odierna palude culturale di cui a sproposito si dice che sia cultura della crisi.


Crisi è scuotimento, turbamento: nulla a che vedere con il minimalismo e lo squallore della cosiddetta società liquida (per dirla con Bauman); con il conformismo standardizzato, robotizzato e scialbo degli odierni paradisi artificiali. Crisi è dinamismo, è fuoco sacro, dinamite, carica spirituale. Crisi sono i sobbalzi dell’intelligenza creativa, non certo il quieto vivere dell’intelligenza artificiale. Stiamo attraversando una fase assai delicata della nostra storia e il rischio che corriamo è di uscire di scena. La posta in gioco è altissima, ma la vera sfida non è con le macchine, è con noi stessi. Non si tratta di disfarsi della tecnologia, o di rinunciare al benessere materiale, ma certamente, se non riusciremo a stare all’altezza morale del progresso raggiunto, non ci sarà via di scampo: dovremo capitolare.


Ciò che veramente conta è sviluppare i valori spirituali e l’arte può molto aiutare in tal senso, perché l’artista è allenato a vivere in originale, anziché in fotocopia, e la singolarità da lui coltivata è ciò che veramente occorre per contenere l’omologazione e l’aggressione tecnologica. Ovviamente si può anche lavorare in équipe, non è questo il problema. Ciò che conta è non rinunciare alla propria personalità finendo per considerarsi dei numeri. La collaborazione, l’aggregazione sono valori positivi, purché non si finisca per portare il cervello all’ammasso mortificando le identità individuali e le coscienze singole. E’ anche utile ricordare che la parola latina ars corrisponde alla parola greca techne e ciò immerge inesorabilmente le Muse nella problematica tecnologica.


Anche poesia (dal greco poiesis) significa produrre, fare, creare e l’allusione è chiara al mondo del lavoro e della tecnica. L’arte tuttavia – così come la techne in generale – non può ridursi a puro e semplice giuoco di prestigio, a fuoco d’artificio, a virtuosismo tecnico. E’ anche questo, ovviamente, ma se togliamo al lavoro il guizzo creativo, l’intuizione e l’ispirazione che donano un senso alla vita, non può che aprirsi il baratro dell’alienazione e dell’abbrutimento coscienziale. Con tutti i danni che ne susseguono, che sono oramai sotto gli occhi di tutti e non è certo il caso di rammentare. L’uomo, l’artista in particolare, ha dentro risorse incredibili cui potersi appellare, ma deve chiamarle in causa dando fondo a tutta la carica di positività di cui dispone. Ognuno degli artisti presenti in questa mostra ha acceso una luce nel buio. Lasciamoci illuminare.


Facciamo adesso un giro tra le opere esposte, tra questi stimoli pittorici, scultorei, fotografici appartenenti alla moderna cultura visiva amorevolmente accolti negli spazi di questa splendida Chiesa. Le vetuste, solenni strutture del Tempio di Santa Maria Maddalena abbracciano questi moderni guizzi creativi in un connubio intrigante e suggestivo fra il Nuovo e l’Antico. Partiamo per il nostro viaggio.


Iniziamo da Luca Fondi con l’opera intitolata “Studio per i ricordi di domani”, un olio e foglia d’oro su tavola dall’impianto fortemente visionario. Vi si affronta il tema della rinascita, da qualunque angolazione la si voglia considerare. Una rinascita teoricamente sempre possibile e a portata di mano, ma minacciata purtroppo e vanificata dai veleni della cruda realtà esistenziale. Allegorie roventi e simboli inusitati sono il termometro di una vena fertilissima, sognante e insieme disincantata.


E veniamo ad Angelo Petraccone, con l’opera intitolata “Io e Pablo”. In questo trittico su tela calato nello sperimentalismo picassiano, l’autore rivisita temi e stilemi cari al noto avanguardista, segnati da forti aspirazioni civili e ideali. Un autore che ama dipingere a tema, su grandi tele dove affiora vigoroso il rifiuto della sopraffazione, della guerra e della violenza d’ogni tipo, principalmente di quella esercitata sulle donne, di cui sono tragicamente piene le cronache attuali.


Il contrasto tra sogno e realtà viene diversamente affrontato da Roberto Mannucci nella pittoscultura intitolata “Eclisse sul bosco bruciato”, un altorilievo pittorico a tecniche miste, polimaterico, dove i due contendenti – il sogno e la realtà, appunto – si congiungono negli avvicendamenti naturali. La Natura è un abbraccio di vita e di morte, di Eros e Thanatos misteriosamente intrecciati tra di loro. Il bosco è bruciato, ma le piante tornano a vivere mentre in cielo avviene un’eclisse di sole.


C’è poi Claudia Di Berardino, con “Promessa manifesta”, realizzata su carta arches con mallo di noce, inchiostro giapponese e cera d’api, dove uno squarcio di luce con forma vagamente antropomorfa guizza al centro dell’opera dalla fitta tenebra circostante, portando l’annuncio salvifico del Buddha, Sammasati, l’ultima parola pronunciata dall’Illuminato che sta a significare Ricorda chi sei. Un monito da tenere presente nelle varie fasi dell’esistenza, intesa come percorso di autocoscienza infinito.


E passiamo ad Andrea Cerqua con “Parole di ghisa”, un olio su tela a tecniche miste, dove simbologie complesse invitano a sentire in profondità il mondo e la vita, al di là dei blocchi linguistici e dei vari schemi mentali. Un esempio di arte metafisica che direi agli antipodi del teatro del Vuoto dechirichiano. Qui il silenzio e lo svuotamento del linguaggio costituiscono accesso verso ordini coscienziali più elevati, verso verità più profonde, verso una luce sempre più vicina enello stesso tempo lontana.


Con Marco Orlandi torniamo ai temi sociali. Contaminazioni è il titolo dell’opera realizzata a pastelli che denuncia il decadimento culturale attraverso un oggetto simbolico d’altri tempi, una moneta nazionale miseramente caduta in oblio. Sotto tiro è il chiasso trionfante di un’economia di massa che soffoca le coscienze singole, impedendo anche qui di sentire in profondità il mondo, la vita. Coltivare il silenzio è l’abbiccì per poter costruire una vita e un’economia a misura d’uomo.


E veniamo a Raffaele Mollo, con l’opera in marmo intitolata “Resistermi ancora”, scultura che non si erge maestosa nello spazio, ma piuttosto ingoia futuristicamente lo spazio, lo ingloba, plasmandolo e lasciandosene nel contempo plasmare. Un artista non contemplativo, ma d’azione, che aggredisce la pietra d’emblée, senza modelli o bozzetti preparatori, seguendo un’esigenza interiore irrefrenabile che gli fa mettere direttamente le mani in pasta nei processi creativi del Creato.


Ed è la volta di Cristoforo Russo con la sua tela a tecnica mista intitolata “Un presepe pop”. Qui prendono campo figure e temi dell’immaginario collettivo, rivisitati in chiave popolare. Ed è una delle più celebrate icone dell’arte universale, La creazione di Adamo di Michelangelo nella Cappella Sistina, a venire omaggiata in giocosa versione fanciullesca e con bonaria ironia, chiamando in causa, tra il serio ed il faceto, addirittura eroi dei fumetti e maschere del folclore nazionale.


Ed ecco Ermes Contrasti con la fotografia intitolata “Non sempre Due di picche”, spiazzante e ludica metafora del rovescio della medaglia che sussiste in ogni situazione. Le cose non sono mai come sembrano e il due di picche può trasformarsi in un poker clamoroso. Tutto è paradossale e niente è a senso unico. Dietro l’angolo c’è sempre una sorpresa, un’improvvisa e salvifica inversione di rotta che, nel bene o nel male, riporta il tutto in equilibrio, in armonia.


C’è poi un’altra fotografia, quella di Giuseppe Russo, intitolata “Emozioni in un istante” dedicato al tema dell’amicizia e della fraternità, nella fattispecie di quella sororale. Compaiono due giovani amiche, complici e confidenti da sempre, probabilmente dall’infanzia, una delle quali è in procinto di sposarsi e di cambiare stato. Un sorriso ed uno sguardo d’intesa, uno scambio di umanità tenerissimo, ricco di tutte le esperienze trascorse e pronto ad affrontare nuove sfide.


E giungiamo a Fabrizio Farina con la sua “Urban Mother” (“Madre urbana”), olio su tela che rappresenta una moderna maternità ambientata in atmosfere e contesti urbani. La donna, che si direbbe essere una ragazza madre, avvolge e protegge il bimbo con coraggio e tenera fierezza, rinnovando, in chiave contemporanea, le classiche ed arcaiche iconografie sacrali della maternità, arricchite di nuove sfumature esistenziali.


Ed eccoci a “Reali visioni” di Tina Colao, una tela a tecnica mista dove l’autrice racconta una vicenda personale che ha dell’incredibile. Ridotta alla quasi cecità da una patologia oculare gravissima, l’artista raffigura nell’opera il proprio sguardo malato, fotografando l’attimo in cui avviene un’inversione di rotta e lei decide di rinascere accendendo le luci dell’io interiore. In quell’istante l’artista passa realmente dalla morte alla vita, dalla fine all’inizio, tornando a sorridere, a vivere e a creare.


Stiamo per concludere. C’è ancora Roberto Rossi, con l’opera a tecnica mista intitolata “Profondo rosso” dall’impianto fortemente materico e informale. In questo denso grumo di polistirolo color sangue, l’artista scarica le proprie inquietudini, i propri disagi, le proprie frustrazioni. Un flusso di energia psichica che non si esprime per immagini, si riversa direttamente nell’opera con la propria ansia, con i propri tormenti, con tutto il proprio turbamento interiore.


Concludiamo con Roberta Conti che presenta un olio su tela intitolato “Un Uomo”. Compare un volto semplice e sapiente, un Cristo forse, la cui grandezza è pari alla sua umiltà. Un Cristo sorpreso tra luci e tenebre nel contrasto struggente della sua natura divina ed umana. Un Dio umanissimo che giace nel fondo dell’anima e parla sommessamente nel cuore di ognuno. Un Uomo con la U maiuscola, tormentato da dubbi fortissimi ma sostenuto da incrollabile fede.”


Franco Campegiani, filosofo, poeta, critico d’arte.

Il borgo dei Cartai – Subiaco

Il Borgo è un luogo del fare e del sapere, un Museo immersivo che coniuga la fruizione museale con la produzione di manufatti in carta, ma è anche un Museo produttivo che assembla l’esperienza culturale con la partecipazione alle lavorazioni. All’ interno del Borgo sono ricostruiti tutti i macchinari di una cartiera dell’ 800 perfettamente funzionanti con i quali si tornerà a produrre Carta alla Forma ed oggettistica in carta con tecniche artigianali. Così facendo abbiamo raccolto la secolare esperienza e cultura della Cartiera di Subiaco, fondata nel 1587 da Sisto V e fornitrice dell’ allora Stato Pontificio, con l’ intento di trasformare quell’antico sapere in una moderna attività con valenza culturale, turistica ed economica.



Il Borgo dei Cartai è un Opificio Museo immersivo, realizzato dall’Associazione Culturale l’Elice a Subiaco in un Vecchio Mulino. Promuoviamo la Creatività e la manualità in ogni sua forma e lo facciamo recuperando la migliore tradizione cartaria italiana. Proponiamo formazione, divertimento e conoscenza per consentire ad ognuno di costruire buoni sogni e vederli fiorire.



Mission

“Promuoviamo la Creatività e la manualità in ogni sua forma e lo facciamo recuperando la migliore tradizione Artigiana e conservando l’immenso patrimonio culturale italiano. Proponiamo formazione, divertimento e conoscenza per consentire ad ognuno di costruire buoni sogni e vederli fiorire.

Nel 2004 chiude una fra le più importanti cartiere italiane, voluta da Sisto V nel 1587.
Noi dell’Associazione Culturale L’Elice non abbiamo accettato questa sconfitta, non l’abbiamo mai considerata tale ed abbiamo iniziato, un incessante amorevole ed appassionato studio delle tecniche e della Storia di quella preziosa industria, motore economico ed organizzativo della Città per 400 anni. Dal nostro studio, dalle nostre ricerche, dalla nostra passione è nato Il Borgo dei Cartai, un Opificio Didattico, Centro Arti e Mestieri che quella Storia vuole recuperare, salvaguardare e divulgare.





Il Comune di Subiaco ha concesso uno dei locali più interessanti per questa esperienza: l’ex Mulino Carlani, già Gualcheria e Pastificio, struttura ristrutturata con fondi pubblici proprio per destinazione museale. Un luogo del fare e del sapere, il Borgo è Museo immersivo che coniuga la fruizione museale con la produzione di manufatti del prodotto carta. Un museo produttivo che assembla insieme l’esperienza culturale con la partecipazione alle lavorazioni nel quale sono ricostruiti tutti i macchinari di una cartiera dell’800 perfettamente funzionanti con i quali produciamo Carta alla Forma ed oggettistica in carta con tecniche artigianali.
Abbiamo raccolto la secolare esperienza e cultura di una Cartiera che riforniva lo Stato Pontificio e la stiamo trasformando in un’attività con valenza culturale, turistica ed economica. Il Museo è la parte che attiene alla memoria, è ciò che del passato consegniamo alle nuove generazioni ed è qui che tornano a vivere emozioni e sensazioni che credevamo inesistenti: il battere armonico dei grandi Magli azionati dalla Ruota idraulica cattura l’attenzione di grandi e piccini e la meraviglia rapisce ogni sguardo mentre la sapienza del Carthajo fa nascere sotto i nostri occhi la purezza di un foglio di carta da della semplice pasta bianca che come per miracolo si compone in trama impeccabile. Il Laboratorio è ciò che costruisce il “fare” ed è qui che nascono i fogli per gli artisti, per la rappresentanza, per i gadget e l’eco design.





Qui abili artigiani e maestri compongono le loro storie con una sapienza introvabile che rallenta il tempo ed il respiro e tutto torna ad avere misura umana. Nel Centro Arti e Mestieri tutto questo può essere imparato e conosciuto, qui puoi apprendere l’arte di rilegare un libro, di miniare un foglio prezioso, qui puoi scoprire li segreti del Carthajo o conoscere i ricami della Cancelleresca. Workshop, Laboratori e Corsi per le necessità ed i desideri di tutti. Il Borgo è soprattutto un luogo di sperimentazione scientifica: la Cattedra di Psicologia della Personalità del Prof. Accursio Gennaro ha realizzato un progetto per un intervento per la valutazione del Processo creativo nel bambino e per la promozione del benessere attraverso il gioco e la creatività. L’Intervento sarà esplicitato su gruppi di ragazzi nellascuola per generare condizioni di creatività e apportare un benessere sia sulla personalità dei bambini con eventuali difficoltà, sia su quelli che possono migliorare in modo più coeso la costruzione della loro individualità. Il Borgo dei Cartai ambisce a diventare, nel territorio, punto di riferimento per rendere sempre più innovativa l’esperienza educativa ed uno strumento di conoscenza e di sperimentazione per le conciliare vacanze, formazione e creatività, per un turismo di qualità e di emozioni.

L’Associazione Culturale L’ELICE nasce nell’anno 1998 sulla base dell’esperienza maturata nel settore artigianale, artistico e del recupero etno-antropologico dei soci. L’Elice nasce con lo scopo di divulgare e tutelare le tecniche costruttive, le tecnologie e le attività umane dell’artigianato applicato, con attenzione particolare alla storia delle attività cartarie, alla storia dell’arte tipografica e del libro a stampa ed all’archeologia industriale.



Il Borgo dei Cartai è un Opificio e Centro Arti e Mestieri nel quale si produce carta a mano con tecniche antiche, gadget e oggettistica in carta. Il Laboratorio è ciò che costruisce il “fare” ed è qui che nascono i fogli per gli artisti, per la corrispondenza, per i gadget e l’eco design. Qui abili artigiani e maestri compongono le loro storie con una sapienza introvabile che rallenta il tempo ed il respiro e tutto torna ad avere misura umana.



Nel Centro Arti e Mestieri tutto questo può essere imparato e conosciuto, qui puoi apprendere l’arte di rilegare un libro, di miniare un foglio prezioso, qui puoi scoprire li segreti del Carthajo o conoscere i ricami della Cancelleresca. Workshop, Laboratori e Corsi per le necessità ed i desideri di tutti.



Il Borgo è soprattutto un luogo di sperimentazione scientifica: la Cattedra di Psicologia della Personalità del Prof. Accursio Gennaro ha realizzato un progetto per un intervento per la valutazione del Processo creativo nel bambino e per la promozione del benessere attraverso il gioco e la creatività.



Proponiamo Laboratori, workshop, seminari sulle tecniche legate al mondo della carta e della stampa Ci occupiamo di editoria pregiata, nostra è l’edizione in 3 lingue della regola Benedettina ORA ET LABORA realizzata per i Comuni di Norcia Cassino e Subiaco Ci occupiamo di editoria per bambini con l’edizione de La Storia della Stampa da Magonza a Subiaco, illustrato a fumetti, con illustrazioni di Valeria Gasparrini e Vita e Storia di San Benedetto illustrato a Fumetti con illustrazioni di valentina Murphy.

Per info e corsi: Email: info@ilborgodeicartai.it



SCANNO IL CUORE PULSANTE D’ABRUZZO

-“Che dici partiamo?” – Oh quanto mi manca questa frase che io e Ottavio ci ripetevamo!
Ci bastava un fine settimana in qualche posto tranquillo per tornare carichi e riposati il lunedì. Ora tutto questo sembra un ricordo lontano ed è strano come quello che davamo per scontato, oggi è prezioso tanto quanto il Santo Gral.
Continuo a ripetermi che prima o poi si tornerà alla normalità, rispolveremo le nostre valigie, percorreremo autostrade per mete inesplorate oppure più semplicemente tornare lì dove il nostro cuore è rimasto.





Ma ora basta con i sentimentalismi e mettetevi comodi perché vi porto con me in uno dei borghi della mia terra abruzzese e già che ci siete prendete appunti; chissà potrebbe tornarvi utile!



Percorriamo l’Autostrada dei Parchi fino ad arrivare a SCANNO… un nome insolito, ma lasciate che vi spieghi la sua origine. Scanno dal latino “scamnum” ovvero sgabello perché il borgo è situato sopra un colle dalla forma di una panca.
Se non siete mai stati in questo posto, vi consiglio di fare alcune ricerche e vi confesso che anche io lo faccio ogni volta che visito città o piccoli borghi. Avere notizie, documentarsi, essere curiosi è una forma di rispetto verso il posto che ci ospiterà a braccia aperte, perché ricordate sempre la regola principale: viaggiare come ospiti!





Appena arriviamo al nostro albero HOTEL ROMA, la prima cosa che faccio è aprire le finestre per scoprire cosa mi aspetta fuori. Ed eccolo Scanno, arroccato con piccole case che di sicuro mi racconteranno la loro storia. Lasciamo tutto e ci dirigiamo a piedi verso il paese, e mi sento osservata da sguardi di anziani mentre giocano a carte fuori dai piccoli bar. Qui il tempo conserva il sapore dell’antico, dove tutti si salutano quando s’incrociano e tutti si conoscono. Percorriamo le viette e mi sorprendo a contare tante gioiellerie, una più prestigiosa dell’altra; tutte unite da un principale gioiello emblema della mia terra: LA PRESENTOSA.
Questo monile di origine settecentesca è il simbolo abruzzese ed era indossato dalle donne in occasione di festa e anche qui vi invito a sbirciare sul web se volete saperne di più… non ve ne pentirete.







Continuiamo la nostra passeggiata per le vie dalle quali s’inalzavano profumi e odori della cena, tanto da spingerci a trovare un ristorante o una pizzeria più vicina e come sapete bene, il turista cammina tanto e mangia altrettanto.

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Il mattino seguente si parte alla volta di un posto fuori dalla realtà ossia il lago di SAN DOMENICO che sorge nell’alta Valle delle GOLE DEL SAGITTARIO. Acqua di color verde turchese, immerso nella natura suggestiva che regna sovrana al di sotto di monti rocciosi nel PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO.
Sulla riva si erge appunto l’eremo sorvegliato a vita da tre oche che proteggono il lago e non ci pensano due volte a correrti dietro se passi davanti a loro, quindi vi consiglio fare come noi: due passi in più e gambe salve dai tre moschettieri del lago.









Ora visto le lodi decantate al lago di San Domenico, è la volta del lago di Scanno e già la forma a cuore credo spieghi in maniera eccelsa che senza dubbio sia il cuore d’Abruzzo! E si anche qui anatre e oche difendono il lago da visitatori poco simpatici a loro. Un consiglio? Portatevi qualche pezzettino di pane; li terrà impegnati mentre voi seduti ad una panchina, guardate un grande cuore che pulsa all’interno di una terra abruzzese rude ma sincera.





di Casaccia Irene



BORGHI ANTICHI. LA NOSTRA STORIA.

La Fortezza di Rocca Calascio

Mai come in questo periodo, abbiamo desiderato viaggiare, andare lontano e magari non tornare più.
Esplorare mondi nuovi, passare da luoghi incontaminati, a città rumorose ,sdraiarsi in un prato e lasciare che il sole di maggio scaldi il nostro viso ormai troppo pallido e spento da questo dannato Covid. La valigia è pronta da tempo ormai e tu non aspetti che quel momento arrivi;chiuderti la porta alla spalle e partire. A volte non serve neanche andare chissà dove per trovare pace, basta un piccolo borgo a pochi ore da casa per rallentare la corsa del tempo.
E allora lasciate i vostri orologi a casa e seguitemi … oggi vi porto con me a Santo Stefano Di Sessanio piccolo borgo nel cuore d’Abruzzo con solo 117 abitanti.
Tra le mura di questo paese incantato vengo catapultata negli anni 20 dove tutto era popolare, forse un po’ rozzo ma dal sapore autentico.



Qui nel 1994 l’imprenditore Daniele Kihlgren giovane visionario, punta il suo sguardo su quello che sarebbe divenuto un albergo diffuso Sextantio Albergo Diffuso.
Appena scendo dall’auto, giro tra le vie immortalando con la mia Reflex persino la più piccola pietra; tutto quel caos da cui ero fuggita era solo un eco lontano che via via si annientava man mano che mi addentravo tra i vicoli silenziosi …ma chissà per quale motivo io li sentivo bisbigliare al mio passaggio.
Assorta da quelle pietre che hanno visto bombe, guerre e la fame che ogni battaglia lascia dietro di se, mi complimento per il lavoro certosino che Kihlgren è riuscito a fare; la sua visione ora è pura realtà.
L’intero borgo diventa un albergo e ogni casa è interamente recuperata e trasformata in stanze da mille e una notte.





Vecchie cassapanche tornano a nuova vita, lucernai illuminano le camere, letti in ferro battuto e coperte della tradizione abruzzese avvolgono le mie notti e inizio a pensare che il mondo là fuori può anche sparire perché qui ho trovato pace.
La nostra camera è all’interno di un’abitazione che si apre a noi con l’immancabile camino e un vecchio tavolo dove avevano lasciato per noi una bottiglia di vino dolce come ben venuto.
Alle due pareti opposte vi erano due porte che conducevano una alla nostra camera e l’altra alla stanza già prenotata.
La sorpresa più grande l’ho avuto aprendo la nostra porta…e mi sono sentita come Alice nel paese delle meraviglie.



Entrati ci siamo ritrovati catapultati nel XX secolo con un letto ricavato da una vecchia tavola, letto in ferro battuto e una calda coperta abruzzese, per non parlare del bagno interamente realizzato con elementi di recupero delle tradizione contadina.
Tutto respirava di tradizione, la mia, quella abruzzese, caparbia dura e allo stesso tempo gentile.
Ho passeggiato fino a non sentirmi più i piedi sotto il ciottolato, ho sfiorato la pietra di quelle mura, ho bevuto tisane realizzate con piante del territorio, e mangiato piatti semplici di quelli che cucinavano le nostre bisnonne, tutto accompagnato dalla musica di quegli anni e che altro?
E si ho tenuto il pezzo forte alla fine; mai sentito parlare di Rocca Calascio? No??? Ti dice nulla (Ladyhawke)?



Vedo che ho attirato la tua attenzione e allora seguimi alla scoperta di questo castello che all’improvviso ti appare davanti dal nulla avvolto da un’aurea di mistero come solo una bella donna sa fare.
Ha un po’ di secoli alle spalle ma conserva ancora il suo fascino e io non riesco a staccare gli occhi e il mio obbiettivo da lei : sua maestà Rocca Calascio.



Quanti cambiamenti hai visto mia bella signora, in quanti hanno provato ad averti, quante lacrime hai versato per i tuoi soldati e dimmi chi ha conquistato il tuo cuore rude? Alla mie domande indiscrete lei tace ma la sento ancora respirare …quella pietra forte.
Prima di andar via mi giro un’ultima volta a guardarla promettendo a me stessa che tornerò a trovarla e aprendo le braccia al mio Gran Sasso per un attimo vorrei essere come Ladyhawke libera di volare sopra il caos.

di Casaccia Irene