L’arte e le donne al tempo del Covid19 – Valentina De Chirico.

Valentina De Chirico


Giro per casa, orami è tardi ma non riesco a dormire. Troppi sono i pensieri che vagano frenetici nella mia mente…uno sguardo ai miei figli che dormono e metto su l’acqua per una tisana rilassante, o almeno è quello scritto sulla confezione.
Accendo il computer, meglio pensare al prossimo articolo… forse questo senso d’inquietudine passerà se mi concentro a fare altro.
Continuo a ticchettare la penna sul foglio bianco, niente, le idee ronzano come api intorno all’alveare della mia mente e il fischio del bollitore mi riporta alla realtà. Vediamo se questa tisana fa il suo effetto!
Un respiro e mi focalizzo su di lei: Valentina De Chirico. Apro il suo profilo Instagram e inizio a scorrere le sue foto che oramai conosco a memoria.
Conosco Valentina già da un po’ e la cosa che ci accomuna oltre ad essere due donne artiste,è il bisogno di lasciare una scia dietro di noi, una svolta alla nostra arte. Esigenze,ispirazioni,scelte di mercato, forse tutte e tre o nessuna non so.
Scorrendo la mia attenzione si ferma dinanzi a due occhi neri, rosse labbra carnose e pelle color del latte ma con un fuoco che se pur non appare dipinto riesco a percepire…è di quel fuoco che ho bisogno per scrivervi di Valentina e della sua personale ricerca artistica.
I pensieri iniziano a rallentare, merito della tisana? Ok si comincia,altro giro,altra corsa.



Valentina De Chirico

Valentina parlami dei tuoi ritratti. Le tue modelle hanno grandi occhi espressivi e labbra rosse e carnose, il giusto per ipnotizzare il fruitore. Scelta voluta o semplicemente l’incoscienza smaliziata dell’artista?

Le donne che dipingo sono quello che per me rappresentano il più alto grado di femminilità. Di ognuna di loro rubo qualcosa che mi manca. Uno sguardo languido, una folta chioma nera riempita di fiori, le labbra importanti e rosse fuoco. Io dipingo per colmare le lacune. Vorrei essere ogni ritratto che ho dipinto, vorrei carpire ogni piccola sfumatura di essere donna.



I tuoi studi ti hanno portato verso il restauro. Cosa ti affascinava di questo ramo artistico?

Credo, un po’ come tutti i restauratori, di essere stata affascinata dal dopo. Rimettere a nuovo delle opere di altri è molto appagante. Pensare di aver contribuito al fatto che quel lavoro rimarrà fruibile per ancora molto tempo grazie al tuo intervento

Dal restauro alla pittura il passo è breve. Che tipo di artista sei? C’è qualche artista che ti ha ispirata nel tuo cammino?

Per anni, influenzata dal mio cammino accademico, sono rimasta molto attaccata alla pittura decorativa. I dipinti legati all’art nouveau e i dipinti di Mucha sono stati quelli che hanno dato il via alla mia serie di ritratti. Ho anche avuto un periodo dove sono stata molto affascinata dalla pittura su vetro. La mia tesi è stata proprio sulle vetrate artistiche.
Fiori, foglie e espressioni le ho tutte rubate e rielaborate dai lavori di Mucha.



Ad un certo punto la tua arte subisce una svolta…quei colori accesi e vibranti rimangono ma entra in gioco una parte più commerciale. Cosa ti ha spinto a questa scelta imprenditoriale?

Il divertimento. Creare piccoli oggetti e capsule collection di t-shirt, piuttosto che segnalibri, tazze e calamite mi diverte. Tira fuori il mio lato ironico e scanzonato. Poi ovviamente il lato commerciale. Questi oggetti sono fatti completamente a mano ma hanno un costo notevolmente minore rispetto a un dipinto. Le persone hanno apprezzato e io ne sono felice.

Come donna e artista che difficoltà incontri nel portare avanti il tuo sogno e lavoro artistico?

Come donna credo che ogni artista di genere femminile dovrebbe avere una colf a casa…!
Scherzi a parte siamo sempre le più penalizzate. Molte devono ritagliarsi del tempo per dipingere nei tempi morti. Un po’ è frustrante perché quando stai lavorando vorresti essere esclusa da tutto e da tutti per un tempo indefinito. Spesso così non è, anche per me. A livello personale il mio genere non ha mai influito sul percorso che stavo e sto intraprendendo.



Cosa ha rappresentato e tutt’ora è l’arte per te e soprattutto com’è cambiata al tempo del Covid 19?

L’arte è la mia croce e la mia delizia. È il mio posto sicuro. Come ho detto prima dipingo per colmare le mie lacune. Essere in posti in cui non sono, essere la donna che vorrei idealmente. Però l’arte non mi rilassa affatto. Quando prendo il pennello in mano deve succedere quello che ho nella testa, esattamente così. Non c’è margine di errore. Ho perso la spensieratezza di dipingere solo e unicamente per passare il tempo e per puro piacere. Un po’ me ne dispiaccio ma credo che faccia parte del percorso professionale.
Il periodo che stiamo vivendo è tosto. Sto semplicemente facendo tutto quello che avevo inserito nella lista “cose da fare 2020” . Purtroppo le spedizioni sono penalizzate quindi ora sono ferma per i miei acquirenti ma sto cercando di sperimentare cose nuove e idee che avevo in mente da tempo.



Mi congedo dalla mia amica lontana ma non prima di aver dato un ultimo sguardo ai suoi dipinti.
Un fondale marino dai toni del blu e viola con due balene una delle quali,sorretta da mongolfiere mi incuriosisce e lì nella poesia di quella illustrazione mi è tutto più chiaro :” Non solo per noi stessi siamo nati”.
Questa è la frase scritta sotto l’immagine da Valentina…nulla di più vero,di più terribilmente reale. Noi artisti apparteniamo al mondo e affinché il nostro passaggio sia lieve, abbiamo bisogno di questa struggente linfa che ci tiene vivi. L’arte unica nostra amica e demone, ma niente paura perché anche se cadiamo giù negli abissi, potremmo sempre cavalcare una delle balene fatate di Valentina De Chirico che ci canterà una ninna nanna.

di Casaccia Irene



“Sindrome degli antenati”: gli avi influenzano il nostro futuro?

“Sindrome degli antenati”: gli avi influenzano il nostro futuro?


La “sindrome degli antenati”, stando alla sua scopritrice, la dott.sa Anne Ancelin Schützenberger, consisterebbe nella trasmissione inconscia e involontaria nei legami trans-generazionali della ripetizione degli eventi irrisolti.

Secondo questa teoria, le persone proseguono in vita la catena delle generazioni precedenti, pagando un pegno al passato e, fintanto che non si è “cancellato il debito”, una “alleanza invisibile” spinge a ripetere, che se ne sia coscienti o meno, l’evento o gli eventi traumatici, le morti, le ingiustizie e persino le loro eco.

La Schützenberger sostiene che “siamo in fondo meno liberi di quanto crediamo”. Possiamo, però, riconquistare la libertà, capendo i sottili legami che ci tengono ancorati al passato, per poi lasciarli andare. Afferrando questi fili nella loro complessità, potremo così vivere la nostra vita e non quella, per esempio, dei nostri genitori, nonni o di un fratello morto, che rimpiazziamo, consapevolmente o a nostra insaputa, nella “catena” del nostro albero genealogico.

Se ci pensiamo bene, non è difficile comprendere a fondo quanto le tematiche familiari abbiano “peso” nella nostra esistenza perché, se non direttamente a noi, ci sarà comunque capitato di venire a conoscenza di dinamiche intricate in cui le famiglie si sfasciano magari per un’eredità o per un lutto, e sicuramente ognuno di noi, portando per un attimo l’attenzione al proprio albero genealogico, può “sentire”, “percepire”, “visualizzare”, una qualche disarmonia. Quello è certo un punto su cui portare attenzione.



Anne Ancelin Schützenberger (Mosca, 29 marzo 1919) è una psicologa francese, professoressa emerita all’Università di Nizza, dove dirige da oltre vent’anni il laboratorio di psicologia sociale e clinica. È altresì cofondatrice dell’Associazione Internazionale di Psicoterapia di Gruppo. La sua esperienza è nota a livello internazionale, soprattutto nell’ambito della psicoterapia di gruppo e dello psicodramma. Ai suoi studi si deve lo sviluppo della tecnica del ‘genosociogramma’: albero genealogico che tiene conto, oltre che dei legami di parentela esistenti, anche del ripetersi di particolari traumi psichici e fisici di generazione in generazione. Il suo lavoro è essenzialmente mirato alla psico-genealogia, alla comunicazione non verbale e ai legami familiari.

Ormai novantottenne, Anne Ancelin Schützenberger è un nome storico nel campo della psichiatria internazionale. Il suo libro “La sindrome degli Antenati”, best-seller in Francia con ben 15 ristampe, rappresenta uno dei testi fondamentali della cosiddetta “psicologia trans generazionale”, una disciplina che si propone di curare malattie fisiche e mentali attraverso lo studio delle storie familiari.
I legami invisibili

La Schützenberger comincia a notare delle ricorrenze nelle dinamiche familiari dei suoi pazienti, e indagando, scopre che spesso ci sono vincoli comportamentali che possono essere ricondotti a ciò che è accaduto in vita agli avi. Ricorrenze, situazioni compensative apparentemente inspiegabili, avvenimenti che accadono in coincidenza con certi anniversari, possono essere ricondotti all’esperienza di un antenato che è incorso in una fatalità, gravando così su tutta la catena dei discendenti.

È allora nostra responsabilità, se vogliamo “svuotare lo zaino dal peso degli antenati”,farci carico di sciogliere questi condizionamenti che influenzando l’inconscio collettivo, lasciando tracce nella memoria delle nostre famiglie.



Spesso è facile risalire alle storie dei nostri avi, a volte invece il nostro albero genealogico contiene delle macchinazioni più complesse. Le trappole, le insidie nascoste nel nostro albero sono spesso rappresentate dal “non sapere” chi siano i nostri avi. Quando non si hanno notizie certe circa l’identità di chi ci ha preceduto, la comprensione risulta più ostica, tuttavia, anche in questi casi c’è un modo per fare chiarezza.

La lealtà invisibile

Uno dei concetti più importanti da afferrare quando ci si approccia a questo lavoro, è quello della ‘lealtà familiare’. Ognuno di noi, inconsciamente, è portato a interiorizzare lo spirito, le domande, le aspettative del proprio gruppo e a utilizzare le proprie attitudini per conformarsi alle ingiunzioni interne o interiorizzate. “Se non ci si assume questi obblighi, ci si sente colpevoli”, dice l’autrice, e questo è un punto interessante da considerare per definire non solo noi stessi, ma noi stessi all’interno di un sistema più ampio. Il senso di colpa, ma anche la ribellione, è sempre in relazione a dettami che giungono dalla struttura del sistema di credenze che viene trasmesso attraverso il modo in cui i membri della nostra famiglia agiscono.

La lealtà invisibile entra in gioco anche quando entriamo in una presunta “competizione” con chi ci precede. Se un figlio, ad esempio, percepisse che superando il livello di istruzione del genitore, diventerebbe una persona riconducibile a una categoria che il genitore odia (ricco, per esempio), il figlio tenderà a non rompere la lealtà invisibile pur di non fare un torto, pur di non creare attriti nell’albero. La promozione sociale/intellettuale/economica rischierebbe di creare divergenze in ambito familiare. Con un atto mancato, il figlio mantiene intatta la barriera di protezione che lo tiene in seno al nucleo, rispondendo inconsciamente al dettame del genitore che inviando un doppio messaggio contraddittorio, dice: “Io faccio di tutto per il tuo successo, lo voglio… ma temo che mi oltrepassi e che ci lasci o ci abbandoni”.
La cripta e il fantasma



Il pudore e una certa predisposizione umana a non indagare nei sottesi, nel nascosto, nelle ombre, fa sì che spesso non si parli in famiglia di tutti quegli accadimenti che possono aver segnato una discendenza. Sebbene questi complessi legami si possano vedere o anche solo intuire, il silenzio, anche inteso come forma di rispetto per i defunti, di cui si parla sempre bene dopo il trapasso, tende ad ammantare gli accadimenti familiari sotto una spessa coltre di scuro.

Nel 1978 due psicanalisti, Abraham e Torok, introdussero il concetto di “cripta” e di “fantasma” ovvero, quando all’interno dell’albero accade qualcosa di tremendo ad uno dei suoi membri – come, ad esempio, un’onta, una forte ingiustizia, un qualcosa di vergognoso, di equivoco – si tende a nascondere l’evento e la persona che ne è stata protagonista. Abraham e Torok si accorsero di questo, per via di alcuni comportamenti ingiustificati dei loro pazienti. Lavorando con persone che dicevano di aver fatto “qualcosa senza comprenderne la ragione”, iniziarono a notare strane corrispondenze, come se un fantasma uscisse dalla propria cripta e prendesse il controllo della persona, facendola così agire in modi completamente differenti dalle sue abitudini. Questo membro della famiglia conserva, in sostanza, in sé il “non-detto”, e lo incarna come a simboleggiare la presenza che si è invece voluto nascondere.

Genosociogramma

La Schützenberger da vita allo strumento di analisi del genosociogramma, ovvero la ricostruzione analitica dell’albero genealogico, che permette di individuare i collegamenti tra gli elementi di generazioni diverse. Nel genosociogramma possono rientrare anche persone non consanguinee, esterne alla famiglia, ma che in qualche modo sono state fondamentali nella storia familiare, che possono aver agito come benefattori, aiutanti, sostituti di ruoli fondamentali (le balie, ad esempio), ma anche coloro che hanno arrecato danno alla famiglia, in qualche modo. Per l’importanza del loro contributo (positivo o negativo), costoro rientrano a buon diritto nel sistema.

Un oggetto di analisi particolarmente importante è la coincidenza tra le date di nascita, di matrimonio, di morte, di incidente, dei diversi membri del sistema familiare: Schützenberger riscontra infatti la cosiddetta “sindrome da anniversario”, che si manifesta con l’insorgere di malattie o il verificarsi di incidenti, allo scadere di una certa età, o di una data particolare.



Oggi si fa un grande parlare di “uomo nuovo”, ma, alla luce di tutto quando detto finora, è facile comprendere come l’uomo veramente nuovo sarà quello che è riuscito a fare pace con tutti quei legami che lo trattengono in una vita non sua, che non gli appartiene, ma che deriva da chi è venuto prima di lui. Esistono per fortuna alcune tecniche in grado di risolvere le dinamiche distorte legate al proprio albero genealogico.

Logosintesi® e Logocostellazioni

Logosintesi è un sistema di cambiamento guidato, semplice ed elegante, che trova applicazione nella psicoterapia, nel counselling e nel coaching, ma può essere utilizzata anche come metodo di auto-aiuto. Logosintesi è stata scoperta e sviluppata dallo psicologo svizzero/olandese Willem Lammers nel 2005 e utilizza il potere delle parole per creare un cambiamento duraturo. Le Logocostellazioni sono uno strumento nato in seno a Logosintesi, che aiutano ad entrare in contatto con le percezioni sottili che derivano dagli aspetti disarmonici dell’albero genealogico.
Dermoriflessologia®

Nei primi anni ‘30 del ‘900, il neurologo friulano Giuseppe Calligaris, studia e identifica il modo per stimolare la pelle creando una connessione con l’inconscio. Gli studi di Calligaris, ripresi dagli anni ’90 da Gandini e Fumagalli, fanno parte di una tecnica olistica di straordinaria efficacia che prende appunto il nome di Dermoriflessologia, capace di connetterci con aspetti peculiari del nostro spazio personale e, attraverso i sogni, aiutarci a rielaborare molte dinamiche irrisolte, tra cui anche quelle legate all’albero genealogico.



Sequenze numeriche di Grabovoi

Le possibilità di applicazione di questa tecnica, in cui si utilizzano sia sequenze numeriche che tecniche di concentrazione, sono davvero tantissime ed anche creative. Ogni “Pilotaggio” pur seguendo un iter ben preciso, secondo le indicazioni dello scienziato russo, si sviluppa e si trasforma in un momento unico e speciale. Questo accade perché è un momento di concentrazione che richiede la massima attivazione di ogni risorsa interiore personale, ed è utile esserne consapevoli prima di iniziare a praticare questa tecnica.

Fonte: Blog aprilamente.info



Il tempo ai tempi del Corona Virus. di Letizia Turrà

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Difficile schiodarmi dal letto, ultimamente i miei ritmi sono sballati. Vado a letto alle 2 di notte, dopo aver sentito notizie per nulla tranquillizzanti.

Qui nella zona rossa la paura è tanta da oltre un mese. Da circa quattro giorni non usciamo dall’ultima volta perché le uscite sono contingentate. “Un membro per famiglia”, dicono, così ci siamo dovuti tutti uniformare. Un nuovo assetto: segni bene su un foglio quello che manca in casa, nessun lusso (dimenticati le patatine, il succo di arancia Bio, le cazzatelle che ti compri di solito). Qui siamo in una situazione di emergenza, lo stipendio deve bastare da qui, fino a data da destinarsi.



Dicevo. O forse sarebbe meglio dire (o scrivere) scrivevo…sveglia 7.47, la seconda ambulanza giunge a ricordarmi che mi devo svegliare, svegliare davvero.

Le bambine dormono, ultimamente dormono tanto, proprio come ho fatto io finora.
La luce del bagno, fioca, contrasta le mie iridi.
Fuori il sole.
Mi sciacquo il viso.
Mi lavo dappertutto.
Mi lavo i denti.
Mi trucco leggermente.
Cambio la maglietta.

Rimetto i pantaloni del pigiama. Perché non vado a lavorare. Da oggi lavoro da casa.

Sarà sufficiente che cambi solo i pantaloni, nessuno mi vedrà. Non sapranno se sono struccata o meno, se sono presentabile, se mi sono pettinata.

Le giornate, seppure lunghe, molto più lunghe di quanto ti aspetti, sono serrate.



Le cose in casa da fare sono tante, i compiti vengono assegnati a valanghe settimanalmente e ti ritrovi improvvisamente avviluppato dal mondo scolastico, del quale prima poco ti interessavi, perché ciascuno di noi ha il suo mestiere, ed è giusto così.

Ci sono le video lezioni, i compiti su dieci dispositivi diversi tutti da scaricare (lo ammetto, me ne perdo qualcuno per strada, e penso di non essere la sola).

Ci sono gli incontri di lavoro, le riunioni con i capi a distanza.

Ci sono le video chiamate con i parenti di cui non ricordavi quasi neppure più l’aspetto.

Ci sono i flashmob con gente che canta, suona, applaude, mangia, sbraita sul balcone.

Improvvisamente ti ritrovi a voler condividere un quotidiano con altre persone, tipo i vicini, dei quali prima non ti importava nulla. E non perché non gli volessi bene o perché non ti interessasse, semplicemente non avevi il tempo né la possibilità di guardare fuori dalla porta. Perché a casa non c’eri mai; non c’eri per le cose quotidiane; non c’eri per una telefonata; non c’eri per un amico che aveva bisogno di una parola di conforto.



DICIAMOCELO: Non c’eri nemmeno per TE!!

Ed ora abbiamo tempo in quantità. Tempo per leggere, scrivere, salutare il vicino, chiamare, piantare semini nell’orto, guardare un film, affacciarci al balcone per cantare (e magari, finalmente imparare) l’inno di Italia, lavorare da casa, fare i compiti da casa, cucinare studiando a fondo le ricette di Gualtieri Marchesi, videochiamare tutti quelli che hai perso dagli anni ’90.

Tempo a volontà, tempo da scorpacciare come se non ci fosse un domani. Tempo per chi non aveva tempo.

Tempo che bramavamo da tempo.

CHE MERAVIGLIA, non trovate?

Eppure ci sono istanti in cui mi piacerebbe tornare indietro a quando non avevo tutto questo tempo per abbracciare la mia famiglia e cucinare i miei manicaretti, oppure a quando non riuscivo ad aggiornare questo Blog come avrei voluto perché soffocata dalla mia quotidianità. Mi manca il mare con tutta la bellezza da guardare; un panino divorato fuori tra la gente in Corso Vittorio Emanuele, a Milano; mi manca fare un bel giro in una libreria piena di chicche letterarie; mi manca un tour nei musei, o visitare una mostra; mi manca fotografare e farmi fotografare. Mi sento quasi un’ingrata a rivolere indietro quei momenti che non mi facevano apprezzare tutto questo.



Così ora deglutisco mandando dritti in fondo allo stomaco i pensieri futili, e penso che sono felice di questo tempo che (purtroppo) durerà a lungo, per tutti noi. Mi scende una lacrima quando penso a tutti quelli che se ne sono andati, o a quelli che lottano per la vita attaccati a un respiratore, o agli infermieri e al personale medico, veri EROI di questo famigerato TEMPO.

Torno a lavorare, e vi lascio un sorriso, anzi, una canzone. Un modo, forse il solo, di dire addio alla tristezza.

Che di tristezza è pregno questo tempo, ed io non ne voglio sentir parlare.

Vi abbraccio, stretti.

Fonte il Blog di Letizia Turrà



Il compito dell’Anima, il Karma e l’ipnosi Regressiva



Del Dott. Michele Guandalini

A torto o a ragione l’ipnosi regressiva è considerata la regina delle scienze olistiche. Questo perché sarebbe l’unica disciplina che ci permetterebbe di ritornare nel lontano passato a ricercare le cause del nostro tortuoso e doloroso cammino, qui sulla terra, attraverso una lettura attenta delle “vite precedenti”. Le “vite passate”, in uno stato trans-ipnotico, appaiono al cliente come ricordi di esperienze vissute in altre epoche. Più o meno lucidamente una persona racconta “spezzoni di vite” già vissute in altri tempi, ad esempio nell’antico Egitto, nella Magna Grecia o in altri paesi, continenti; persino ricordando l’anno o il secolo, il luogo preciso ecc…

Singolare la cosa!

Eppure, sebbene la letteratura sia molto ricca di spiegazioni a riguardo e di narrazioni, oggi molti studi traggono spunto principalmente da antiche dottrine, quali l’Induismo e il Buddismo. Il compito della nostra anima, in particolare per l’Induismo, non è facilmente traducibile, ma lo si può intendere così: è un cammino verso la conoscenza e la salvezza che deve superare l’ignoranza. Questa salvezza, attraverso la consapevolezza, alla fine porterà alla liberazione finale nella quale l’anima (Atman) potrà staccarsi dal corpo fisico e dal mondo materiale, si riunirà al Brahman, ovvero l’Assoluto o Anima universale. La consapevolezza sommata al comportamento etico, rispettoso e amorevole, permette all’anima di evolvere purificandosi dai peccati e dalle malefatte ai danni degli altri.



Come prendere consapevolezza? Attraverso il percorso della purificazione, grazie alla reincarnazione.

L’anima alberga nel corpo, ma una volta che questo muore, proseguirebbe il suo cammino in altro corpo, riportando le esperienze fatte in quello precedente. Quindi, via di seguito, sino a che non si è purificata definitivamente, ovvero non si è concluso il suo percorso. In ogni “vita” ci è concesso fare esperienze consapevoli e amorevoli. Una dopo l’altra. Spetta a noi, grazie alla consapevolezza, saper trarre insegnamento dalle esperienze pregresse e imparare a non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi.

Il compito dell’Anima? Il suo dovere?

Attraversare il periodo più o meno lungo necessario (anche millenni) per raggiungere la consapevolezza assoluta e la condizione ultima e ottimale: la purezza. L’individuo, sperimentando le emozioni (rabbia, odio, dolore, amore, desiderio ecc…) e dominandole -indirizzando il male verso il bene- avrebbe modo di non dover più trasferire colpe tra un corpo fisico e l’altro.



L’Ipnosi Regressiva è una tecnica considerata terapeutica, perché consentirebbe di poter accedere alle vite precedenti e mettere armonia, quiete nell’animo umano. Attraverso tale tecnica è possibile riappacificarsi con il mondo attorno a noi e curare anche dolori e/o malattie del corpo. L’anima, infatti, trasferirebbe le informazioni tanto relative ai traumi psichici che a quelle dei “corpi fisici” precedenti a quello attuale. Se abbiamo subìto una ferita, ad esempio, tale ferita potrebbe ripresentarsi sotto altra forma (es una voglia) nel nuovo corpo cit: Brian Weiss. Tale concetto vale anche per le emozioni. Una paura, ad esempio, potrebbe essere trasferita dall’anima da un corpo fisico a quello successivo. Potrebbe, cioè, essere stata contratta in seguito ad una esperienza traumatica effettuata in altra vita e riportata in questa. Che sia possibile o meno, che ci si creda o no, ciò che è curioso è che alcune malattie, alcuni sintomi, alcune disarmonie o disturbi sia fisici che psicologici, dopo una o più sedute di ipnosi regressiva, tendono a scomparire. Dalla Medicina apprendiamo che le cause di tantissime malattie e disturbi del corpo (circa il 70%) sono da attribuire alla psiche. Le malattie psicosomatiche, appunto. Appare evidente, pertanto, che se curiamo la psiche ne trae vantaggio anche il corpo. Nel mio lavoro ho potuto sperimentare che non poche malattie, disturbi psichici ecc… effettuate alcune regressioni, scompaiono. In alcuni casi gli effetti sono stati sorprendenti. Alcune fobie, ad esempio, risultavano avere origine da esperienze passate che avrebbero lasciato il segno e quindi riscontrate nell’attualità: svanite. Così è stato.

L’anima, quindi, ha un compito meraviglioso. Sosteniamola nelle sue fatiche, avendo cura e vero amore per noi, per i nostri simili e per la nostra amata Madre Terra.

htp://www.micheleguandalini.com/



Le donne e l’arte al tempo del Covid 19. Miss Lo -di Irene Casaccia



Mi siedo al PC con una tazza di caffè … è domenica o lunedì? Oramai ho perso il susseguirsi dei giorni,ma oggi è speciale! Inizio il mio primo articolo su una di voi,mie belle signorine dell’arte(signore fa troppo vecchie per me).
Chiudo un attimo gli occhi e immagino qui,seduta davanti a me lei Loana Palmas o come la chiamo io :Miss Lo. Sorridente con due occhi neri come la brace, contornati perfettamente dal suo inseparabile eyeliner. A prima vista hai l’impressione di avere una tipetta tatuata e molto rock ma appena ascolti la sua voce capisci all’istante che la sua aurea è di un color oro; di lei puoi fidarti. Lo so io sono di parte ma scrivo emozioni,a volte le mie,a volte di chi vorrà condividerle con me.
Ma ora iniziamo e così con il mio caffè bollente e il PC,parto con la prima domanda.



Miss Lo quando è iniziato il tuo percorso artistico ?

Ciao cara, felice di ritrovarti e ti ringrazio per avermi pensata.
Quando è iniziato il mio percorso artistico? Da che ho memoria ho sempre avuto a che fare con fogli e matite, pensa che a scuola contattavano i miei genitori perché ero “troppo tranquilla “ e, durante gli intervalli, rimanevo seduta al banco e disegnavo sempre.

Cosa ti ha spinto verso il tuo attuale lavoro di tatuatore?

Cosa mi ha spinta a fare la tatuatrice …in realtà sono sempre stata affascinata da quest’arte, ricordo che verso i 17 anni andavo in edicola a comprare gli annuari dei tatuatori, pensa che li ho tutt’ora che ho quasi 40 anni. Sono diventata tatuatrice una decina di anni fa, ho seguito prima un percorso diverso, a 22 anni mi sono laureata come scenografa costumista all’accademia di belle arti di Brera. L’arte del tatuaggio non è semplice, bisogna avere coscienza e professionalità, non tutti possono tatuarsi e bisogna saper dire di no, conoscere l’anatomia, le problematiche della salute del cliente, e non è semplice, non ci si può improvvisare. È un lavoro prettamente maschile, e spesso capita che di fronte ai clienti ci si senta dire “ Ah, ma mi tatui tu?” Ebbene sì, una donna può tatuarti.



Ho visto che nello studio Owl Skull Tattoo dove lavori avete avviato un percorso di dermopigmentazione estetica per ridare gioia a tutte quelle donne che hanno subito un percorso difficile come la chemio. Cosa ti ha spinto a intraprendere questa via? Cosa provi nel guardare gli occhi increduli di chi si trova trasformato sia per un semplice tatuaggio che per un trattamento più importante?


Si il trattamento di ricostruzione a cui ti riferisci si chiama dermopigmentazione, dell’areola post mastectomia. Spesso la maggior parte dei lavori che eseguo, sono lavori puramente di bellezza, una donna che subisce una mastectomia non ha scelta, è sopravvivenza, un evento che cambia la vita ed immancabilmente crea un trauma. Nel nostro piccolo cerchiamo di donare questo trattamento alle donne che vogliono rivedere il proprio corpo nella memoria che si ha di esso, o semplicemente regalare un tatuaggio decorativo sulla cicatrice, perché anche senza seno si è sempre e comunque donne…insomma che sia la ricostruzione anatomica, un fiore, o altro, facciamo il possibile per ridare un po’ di serenità.
Riserviamo trattamenti particolari anche per altre problematiche, sempre nella speranza di poter aiutare. Spesso ci si lamenta di cose futili, ho modo di vedere spesso situazioni difficili in ospedale, e credo che ognuno di noi, nel suo piccolo può sempre dare una mano.
Il mio lavoro non è semplice, si ha a che fare con diverse persone, ognuna con un carattere particolare con esigenze diverse, non c’è margine di errore, le persone non sono fogli di carta che accartocci e ricominci. Devi essere concentrato al massimo, che sia un lavoro semplice oppure più complesso, quello che poi ti dà soddisfazione è vedere la loro reazione quando si guardano allo specchio, e spesso accade che queste ti abbraccino felici, o in lacrime, le reazioni sono multiple, ma per quanto sia spesso complicato,è questo che ti porta ad andare avanti.



Ti sei prefissata nuovi obbiettivi e se potessi parlare con la Loana di ieri cosa le diresti?

Dunque, io credo che si è in continua crescita, c’è sempre da imparare in realtà, quindi non bisogna mai fermarsi, per quanto riguarda il mio lavoro spesso frequento corsi per migliorare ed aggiornarmi, ma capita anche di fare cose completamente al di fuori di questo. Cosa direi alla me di ieri? Le direi molto probabilmente di rifare tutto quello che ha fatto, ma con il bonus di non privarmi di tante cose, alla fine si diventa grandi e certe momenti, occasioni non tornano più indietro.



Ultima e non meno importante domanda. Cos’è l’arte per te e soprattutto com’è cambiata oggi al tempo del codi19?

Direi è vita, è la mia vita, non saprei cos’altro fare senza, qualsiasi cosa faccia, è sempre basata su di lei. Mi ha sempre aiutata a superare i momenti più difficili, così come in questo che stiamo vivendo, dove è in corso una rivoluzione totale per l’uomo. L’ arte è speranza, con l’arte si può diffondere qualsiasi messaggio, ed ora è fondamentale che trasmetta i valori della vita, Entrando nella mente e nel cuore delle persone, per salvarci da questo disastro serve assolutamente comunicazione, ed ovviamente collaborazione.





L’intervista è oramai finita,chiudo il PC e guardando la mia tazzina vuota,penso che un altro caffè ci starebbe bene. Dinanzi a me la sedia è vuota e Loana sparita … ma ripensandoci credo che da domani anche voi la chiamerete Miss Lo.
Sorrido e mi verso un altro caffè bollente.