I leoni da tastiera…



Un nuovo morbo si è diffuso tra la gente, ed è altamente infettivo.
Laddove l’offesa ormai è divenuta la consueta forma di comunicazione, subentra sempre più spesso quello che viene definito il “leone dietro la tastiera”.

Sì, proprio lui. Suvvia, non lo avete mai incontrato?

Il leone da tastiera è un tipo forte, coraggioso, totalmente libero e indipendente nel pensiero, e ribelle sotto qualsiasi forma.
Non lo intorti tanto facilmente, lui non è uno schiavo del sistema come lo sei tu, lui legge solo i classici, lui è soprannaturale e arguto, e conosce ogni risposta ad argomenti quali il sistema monetario e bancario, complotti, massoneria, politica, bellezza, moda, consulenza, stile, realtà legali, immigrazione, fotografia, musica, pittura, scrittura… e chi più ne ha più ne metta!

Può essere un letterato o nel peggiore dei casi, un ignorante che nemmeno nei ghetti peggiori potrete mai scovare.

È davvero una fortuna che io sia cresciuta in infanzia tra case popolari in mezzo a famiglie Rom, perfettamente integrate tra noi (parlavano persino il nostro dialetto fluentemente), quindi quando vedo un leone da tastiera non mi spavento più di tanto, né mi tuffo nel mare delle futili escandescenze.



Lì tra quei quartieri di leoni ne ho visti tanti, ma di VERI.

C’erano quelli che si arrampicavano come gatti fino al quinto piano senza fare una piega, per rubacchiare quel che gli era possibile.
C’erano le mamme che piangevano perché un figlio non tornava, con una dignità tale, da farti tremare.
C’erano gli spacciatori che sorridevano, nonostante gli spari della polizia alle loro calcagna.
C’era mia madre che sottraeva due bimbe dalla violenza di un’altra madre che si ubriacava fino a perdere il controllo di sé.
C’ero io che a otto anni correvo battendo i miei piccoli pugni sulle porte dei vicini, sperando che qualcuno sentisse le mie urla disperate, perché mia madre aveva appena avuto un collasso e io dovevo salvarla, ad ogni costo.
C’era un leone che tornava a casa sempre di cattivo umore, e riempiva di botte tua madre.
C’era tuo nonno che singhiozzava, ingoiando bocconi di lacrime amare, sulla tomba di quella stessa madre, che era la tua.



E così sorrido, quando vedo quali insulti certi “leoni” infliggono ad altri. Mi sembra di sentire le loro urla mentre dicono a squarciagola: “Ehi, io ci sono, guardatemi, non mi ha mai considerato nessuno nella mia vita, né nella mia famiglia, mi sento una merda, sono una merda e faccio una vita di merda. Quando torno a casa mia moglie mi mazzola pure. Qui dietro al monitor posso dire e fare ciò che voglio ma a casa, se solo esprimo il desiderio di mangiare la pasta anziché la salsiccia, le prendo anche dai miei figli. Quindi scusatemi, ma devo offendere qualcuno, altrimenti come potrò sentirmi migliore??”

Ecco, questo è ciò che penso nel mio intimo di chi si sfoga (erroneamente) contro altri, nutrendo la propria insoddisfazione, e sottovalutando che il problema vero non risiede negli altri, ma nel giudizio che abbiamo di noi stessi.
Mi piacerebbe incontrare un leone di questo genere e fissarlo negli occhi, per riuscire a capire se il suo ostentato coraggio è davvero così possente, anche al di fuori della rete.



So già cosa gli direi: “Tu non sei un leone, sei un coglione.”

Articolo dal Blog di Letizia Turrà



Adamasìa – Il magnetismo dell’anima



Quante volte ti è capitato di sentirti profondamente attratta da un luogo, senza capirne il perché? Quante volte, camminando in vacanza, hai preso una strada piuttosto che un’altra, con il fidanzato che urla disperato a cercarti per le viuzze di qualche borgo sconosciuto o in attesa all’ingresso di un negozio?

E mentre lui ti guardava come se fossi pazza, o la più banale delle shopaholic, tu sapevi bene cosa c’era dietro quella frenesia, a quel seducente impulso, a quel groviglio di emozioni. Tu sapevi che era tutta una questione di anima.



I luoghi hanno un’anima

‘’Un luogo non è mai solo quel luogo. Quel luogo siamo un pò noi. In qualche modo, senza saperlo ce lo portavamo dentro…e un giorno per caso ci siamo arrivati.’’
(Antonio Tabucchi)


I luoghi hanno un’anima: ecco spiegata la ragione di quell’attrazione, di quell’irragionevole magnetismo verso qualcosa che non conosciamo, ma che ci sembra in qualche modo familiare. In pratica è come se l’energia del luogo parlasse a parti antiche di noi, sconosciute razionalmente, ma sempre esistite, capaci di guidarci nel sentiero della nostra vita. È l’anima dei luoghi.

Gli antichi Greci sapevano che alcuni luoghi speciali come incroci sorgenti, pozzi, boschi erano “abitati” da dèi e dee, ninfe, daimones: nell’antichità erano abituati a dare ascolto alle anime, agli spiriti e a portarne rispetto. Ancora oggi le tribù aborigene e i nativi americani considerano alcuni luoghi sacri e ad essi dedicano riti e cerimonie.

E l’uomo moderno?

Nella nostra cultura, invece, i luoghi hanno perso l’anima: abbiamo sostituito l’unicità, la specificità di ciascun luogo con l’idea di uno spazio “vuoto”, uniforme, che si può misurare e occupare. Spinti dal cinismo, tendiamo a soffocare i nostri veri istinti, il nostro profondo sentire, per paura del giudizio altrui, o semplicemente per abitudine.



Percepiamo l’energia dei luoghi – che i Romani definivano Genius Loci (genio del luogo) – ma non siamo abituati ad ascoltarla. Fa parte del nostro DNA eppure spesso ignoriamo il richiamo antico che i luoghi hanno su di noi: siamo quello che siamo grazie ai luoghi che incontriamo lungo il percorso della nostra vita e a ciò che di loro ci resta dentro, dovremmo quindi re-imparare ad ascoltare cos’hanno da dirci.

Adamasìa, ovvero il magnetismo dei luoghi





Ogni volta che arriviamo in un luogo sconosciuto, i nostri orizzonti si aprono, le nostre certezze crollano e siamo in qualche modo costretti a scontrarci con usi e costumi totalmente diversi dai nostri. Tutto questo arricchisce la nostra anima, forse perché in fondo il luogo in cui andiamo è in qualche modo già dentro di noi e dovevamo solamente RIscoprirlo e prenderne consapevolezza. In altre parole, riconoscerlo.

Siamo divini, ma lo abbiamo dimenticato. In noi racchiudiamo tutti i luoghi del mondo e la nostra anima freme per ritrovarli, perché non sono altro che parti di noi dimenticate.

Questo magnetismo che chiama l’uomo verso un luogo, io lo chiamo Adamasìa.



Ho ripreso e rielaborato gli antichi concetti animisti ma con una declinazione moderna. Adamà (o Adamah) in ebraico è suolo ma anche luogo inesplorato della nostra mente. Adamas, dal greco antico, è il termine che caratterizza il diamante per la sua durezza eccezionale ma sta a significare anche calamita, magnete e Phrenesis cioè frenesia, dal latino, è la smania, l’eccitazione mentale. In realtà non è altro che la frenesia di conoscere sé stessi: la nostra anima ci guida nella ricerca smaniosa di parti di sé che non ricordava più, ma che sono disperse nei luoghi.

In vacanza, in viaggio, non la senti anche tu quella spinta interna che ti fa stare in giro ore a cercare negozi, cibi, profumi, artisti e oggetti unici che rappresentino quel luogo? L’Adamasìa è proprio questo bisogno smodato di entrare in contatto con tutto ciò che di affascinante e misterioso offre un territorio; è quel magnetismo che si instaura tra uomo e terre sconosciute, dentro le quali si ritrova a ricercarne le bellezze e unicità, le ricchezze artistiche e culturali, gli usi e costumi.

È un parlarsi silenzioso tra anime, la nostra e quella del luogo, inconsapevole, ma tale da produrre un’energia potente, un’attrazione che aiuta a conoscere parti di noi inesplorate. O forse è meglio dire a ri-conoscere, perché questi luoghi contengono già il seme di ciò che siamo, quasi degli specchi sui quali riflettere la nostra anima.



Adamasia, la nostra anima racchiusa in un luogo

Nella nostra concezione adamasìaca, il diamante è l’animo puro dell’uomo e il suo talento nella sua massima espressione di connessione divina.





Il genio raro, il talento dell’artista, viene considerato diamante puro, così come l’animo dell’uomo privo di cattiveria, che nella sua sensibilità ricerca l’armonia con il territorio, con il genius loci. Più un artista è talentuoso, più ‘’brilla’’, più ritroviamo in lui una connessione con il divino e la sua capacità di rappresentare il genius loci; allo stesso modo, l’uomo puro adamasìaco si sente attratto dal genius e quindi dall’arte, dagli artigiani e da tutto ciò che esprime il divino sulla terra.





L’Adamasìa spiega quindi la curiosità e la frenesia di girovagare per negozi e luoghi artistici che si tramuta non solo in ricerca dell’arte e i paesaggi ma in una ricerca smaniosa di negozi e artigiani, ovvero le espressioni del genio artistico di un luogo.

Appagare il desiderio di Adamasìa, può portarci ad un senso di completezza, perché arricchisce il nostro bagaglio emotivo-culturale, restituendoci uno stato di armonia con il mondo e la tradizione. Adamasìa è la voglia di ritrovare una parte della nostra anima racchiusa in un luogo inesplorato, perché lei è immortale e senza tempo e per essere libera e completa ha bisogno di ogni frammento di luogo che le parli di sé.

Fonte: Blog Chic Advisor



Cosa sono le emozioni?



La poesia è quando un’emozione ha trovato il suo pensiero e il pensiero ha trovato le parole.(Robert Lee Frost)

Le emozioni, piccole essenze colorate del nostro essere che viviamo ogni giorno, con le loro sfaccettature entrano ed escono dalla nostra quotidianità continuamente.

Cosa sono in realtà? Come nascono? Semplicemente accadono a causa di ciò che ci succede o siamo noi i responsabili della loro manifestazione dentro di noi?

Da poco le emozioni sono state complessivamente identificate in 27, pensate quante ne possiamo provare.



Questa cosa mi ha affascinato, ho immaginato ognuno di noi come un prisma che, colpito dalla luce può riflettere mille sfumature di colori.

Da qui ho letto molto sulle emozioni, sulle loro definizioni e quella più bella e che mi ha risuonato maggiormente è quella dove EMOTIONS (in inglese) viene così anagrammata : E = energia, MOTIONS = movimento, E-MOTIONS, ovvero “energia in movimento”, una definizione meravigliosa e molto realistica dal mio punto di vista.

In generale le emozioni non sono altro che il frutto di sostanze chimiche che il nostro cervello e il nostro corpo creano, quotidianamente le cataloghiamo come buone (Es:amore, gioia, entusiasmo) o cattive (Es: Ansia, Paura, Rabbia).

In realtà è più corretto identificarle come Utili o Poco Utili.



Vedendole così risuonano già in modo diverso, la percezione cambia, comprendiamo meglio come gestirle a seconda della situazione, non è vero?

Come cambia la percezione comprendendo che le generiamo noi? Cosa ne consegue?

Pensiamo a quando siamo arrabbiati, nervosi, ansiosi o stressati, in quei momenti ci sentiamo male fisicamente, abbiamo una stretta allo stomaco, magari ci viene mal di testa o percepiamo tensione agli arti.

In questo caso il nostro corpo comincia a produrre adrenalina, cortisolo, sostanze poco buone e poco utili per il nostro corpo, che se protratte troppo nel tempo possono portano via energia ed indebolire i nostri organi, rischiando di ammalarci.



Invece, quando siamo sereni, felici, gioiosi, entusiasti, tranquilli, banalmente ci sentiamo bene, energici e vitali, il nostro corpo è rilassato, in quanto produce dopamina, serotonina, endorfine che fanno bene e ci rigenerano, sono cocktail molto utili, energizzano e rinforzano gli organi, le difese immunitarie, portando luce dentro di noi.

Nel modo olistico è riportata una stretta relazione tra emozione ed organi vitali, la rabbia è collegata al fegato, la vergona con lo stomaco, lo stress con cuore e polmoni e ne vengono indeboliti mentre la gentilezza, la dolcezza, il sorriso e l’amore li rinvigorisce.

Insomma, tutto è collegato e tutto parte dalla nostra mente, siamo noi i responsabili di questi mescolamenti di sostanze.

Prendendone consapevolezza, comprendiamo che possiamo agire, modificare i nostri pensieri e scegliere quindi noi che cocktail ordinare, proprio come al bar.

Le emozioni partono dai nostri pensieri, quindi, imparando ad osservarci, a guardarci dentro, possiamo apprendere, percepire quei pensieri che stanno per prendere il sopravvento, e generare l’emozione poco utile.



Fermandoci, facciamo un bel respiro, e con un bel sorriso portiamo alla mente le cose che ci danno gioia forza e sicurezza, ricominciando a riprendere il controllo e ripartendo con un’emozione utile.

All’inizio dovremo allenarci, forzarci un po’ ma, vi garantisco, che il corpo è una macchina perfetta e comincerà a generare dentro di noi quella sostanza ed emozione utile che servirà a rendere bella e soddisfacente la giornata, e nel lungo tempo la vita.

Provare per credere.

Namastè

Eleonora Toppi – Life Coach

Fonte: aprilamente.info



Carpe diem. di Letizia Turrà

Letizia Turrà


Significa “cogli l’attimo”. Coglilo, perché ogni momento di questa vita potrebbe essere l’ultimo in cui ti capiterà di carpire il tuo respiro ancora pungente nel petto.

Non sono cose a cui pensi quando sei giovane; in quel momento l’unico concetto che sei in grado di concepire è che esisterai eternamente, e che nulla potrà annientare la tua tempra.

Pensi che ci sarà tempo per tutto, che questa attesa comprenderà anche il tempo dovuto all’amore. Poi finisci per scoprire con amara comprensione che l’amore, neppure lui, ti aspetta. Si prende la parte migliore e peggiore di te. La prima parte viene riempita, resa apparentemente perfetta; la seconda viene di colpo svuotata, diventando una discesa arida e tortuosa.

Amare è vedere scendere quel filo agrodolce giù per la gola. Sei consapevole di essere legato a qualcuno a cui hai sussurrato ti amo in tutti i modi: fra le lenzuola, mentre toccavi le sue ciocche, mentre ossessivamente ricercavi il suo odore sotto le ascelle o in mezzo ai tuoi capelli; nei sorrisi che poi elargivi quando giungeva al tuo olfatto quello che stavi cercando, nelle telefonate che avresti dovuto fare e non hai fatto, fra le parole che hai scritto e che ora giacciono in un cassetto. Tuttavia, quello stesso amore te lo sei lasciato scappare, hai spezzato la catena che ti teneva stretta, avvinghiata. Hai sciolto quel nodo vincolante; hai abbandonato quel porto sicuro.



Nelle viscere non restano che ricordi, e un infinito senso di gratitudine per ciò che è stato. Ci piace sapere che dall’altra parte del mondo o della strada, qualcuno che abbiamo amato profondamente se ne sta lì, e penserà a noi con il medesimo senso di protezione e attaccamento.

Sai che lo ritroverai in quello che ti aspetti ancora, lontano come l’urlo di una falena in lontananza, che non potrai sentire.

Articolo dal Blog di Letizia Turrà



Stare nei paraggi di persone che si lamentano sempre debilita il nostro organismo. di Antonio Iacca



La spiritualità, e negli ultimi tempi anche la fisica quantistica, ci insegnano che l’universo è costituito da onde vibrazionali che vibrano ad una certa frequenza.

Nella fisica classica di cui Isaac Newton è stato il maggior fautore, sappiamo che tutto ciò che ci circonda è costituito da molecole che possono essere scissi in atomi che a loro volta si scindono in neutroni, protoni ed elettroni. Se continuiamo a dividere la materia, arriviamo al quanto, una particella così piccola che non può essere divisa. Il quanto ha un suo particolare comportamento. Il quanto appare ed esiste solo nel momento in cui viene osservato e, solo in quell’esatto momento, va ad occupare uno spazio, definito “lo spazio di Hilbert”, nome del matematico tedesco tra i più eminenti ed influenti del periodo a cavallo tra il XIX secolo e il XX. Lo spazio di Hilbert altro non è che uno spazio di possibilità ed il quanto appare proprio in uno di questi spazi o punti, definiti Autostati, solo nell’istante in cui viene osservato.

Possiamo dire, quindi, che la parte più piccola della materia possiede un determinato atteggiamento, grazie o a causa dell’osservatore. I quanti, come abbiamo già detto, sono quelle particelle che compongono l’universo e anche noi stessi e subiscono l’influenza dei nostri pensieri. Quando siamo impegnati in una conversazione, le prime onde di energia che ci sopraggiungono sono proprio quelle emanate dai pensieri del nostro interlocutore ma sotto forma di parole e quindi di suono che, così come l’universo, è costituito da onde vibrazionali. Se le vibrazioni di questi pensieri vibrano ad una bassa frequenza e dunque c’è negatività, il nostro organismo che inevitabilmente si scontra con queste onde di energia, ne risente in negativo.



Un esempio concreto lo abbiamo con le piante. È risaputo che parlargli con parole gentili favorisca la loro crescita, al contrario, se usassimo parole e pensieri negativi, appassirebbero. Questo avviene anche per l’essere umano, l’energia che circola intorno a noi è molto importante per il nostro benessere psicofisico. Allontaniamoci da quella persone che fanno di noi il mondezzaio dei loro pensieri. Facciamolo per il nostro bene.

di Antonio Iacca

Fonte: Il Blog aprilamente.info