Cantine San Flaviano. Cuore, passione e arte.



Dopo un lungo tempo di latitanza torno con una nuova e inusuale intervista. Oggi vi porto per mano per le vie della mia Giulianova salendo per gli scalini della salita Monte Grappa dove ci attenderà seduto con il suo inseparabile violoncello,la statua di Gaetano Braga e per una frazione di secondo ci sembrerà quasi di vederlo avvicinare l’archetto al violoncello e da lì via alla melodia che ci accompagnerà fino alla Basilica di San Flaviano che imponente si mostra lungo il corso con il suo cupolone.
Arriviamo in piazza Buozzi dove piccole botteghe aprono le loro porte per invitarci a degustare un calice di vino con un buon tagliere di prodotti nostri, quelli veri che raccontano di noi e della nostra Giulianova.
Ed è qui che voglio fermare la vostra attenzione; dinanzi le Cantine San Flaviano, un ristorante nato sotto un antico palazzo,nato dal sogno di un ragazzo ormai uomo,sacrificio,amore per la cucina,dedizione e una sana buona cocciutaggine di non mollare mai anche quando la vita vuol buttarti giù.
Oggi vi parlo di resilienza,di amore, cuore e arte perché in ogni luogo lei si cela.
Lascio la parola a lui Guido Orsini, mio amico da più di vent’anni e con un patto che ci ha uniti.





Guido raccontaci un po’ di te. Come sei arrivato alla ristorazione?

Il mio percorso formativo e lavorativo è particolare, anche se di questi tempi non è poi così raro approdare ad un lavoro completamente diverso rispetto a quello per cui si è studiato. Mi sono laureato in giurisprudenza nel 2000, ho lavorato per qualche anno nel settore delle agenzie di lavoro interinale, dopodiché ho ricoperto il ruolo di project manager in una multinazionale Italo-francese che si occupava di energie rinnovabili, dirigendo un cantiere nella Puglia salentina in cui ho curato e diretto la realizzazione del più grande parco fotovoltaico in Europa. Per questo ho trascorso cinque anni in Salento ed è un’esperienza che mi ha arricchito molto, sia dal punto di vista lavorativo che personale. Una volta finita questa esperienza sono tornato a Giulianova, dove ho avuto occasione di avvicinarmi alla ristorazione per la prima volta in maniera professionale, lavorando per due anni come cuoco per un noto ristorante giuliese, anche se è una passione che coltivo sin da ragazzo. Durante questo periodo, anche grazie all’esperienza maturata, ho deciso di aprire un ristorante tutto mio.



Il connubio Salento Abruzzo può sembrare azzardato ma? Continua tu

Sì, è vero, a prima vista potrebbe sembrare un connubio strano e quasi privo di logica, ma in realtà non è così. Sicuramente il mio lungo soggiorno in Puglia mi ha dato l’occasione di apprezzare le prelibatezze della cucina locale e l’idea di riproporle e farle conoscere nella mia terra d’origine, ma non è solo questo il motivo.
Infatti il palazzo dove si trova il mio ristorante altro non è che l’antico palazzo ducale dei duchi di Acquaviva: esso, infatti, fu dimora di Giulio Antonio Acquaviva, duca di Atri, (Atri, 1428 circa – Minervino di Lecce, 7 febbraio 1481), fondatore della città di Giulianova. Dopo la battaglia di San Flaviano (25 luglio 1460), l’antico insediamento fu saccheggiato dai soldati di Matteo di Capua e ridotto in macerie. Invece di riedificare la città, Giulio Antonio Acquaviva preferì costruirne una nuova più in alto, nel 1471, vicino alla città antica, che prese il nome, appunto, di Giulia Nova, in onore del suo fondatore.
Nel 1480 Giulio Antonio Acquaviva si recò in Puglia per combattere i Turchi, che avevano espugnato Otranto e minacciavano Brindisi. La sua fama è legata alla campagna per la riconquista di Otranto (1481), durante la quale perse la vita in un’imboscata. Questo stretto legame tra le due regioni, testimoniato dalla vita del nobile di Atri, mi ha indotto a proporre percorsi enogastronomici capaci di far assaporare le primizie di entrambe le terre, in un contesto che conserva ancora intatta la suggestione di un’epoca lontana.
Il tuo locale si trova proprio nella piazza dove maestoso si affaccia la nostra cupola di San Flaviano. Raccontaci del tuo ristorante gioiello che affaccia sul mare.
Ti ringrazio per la bella definizione del mio locale, in effetti è davvero un piccolo gioiello, sia a livello storico che paesaggistico. È incastonato nell’antica cinta muraria di Giulianova e racchiude quelli che potremmo non a torto definire dei piccoli tesori, a partire dalla cantina, dove è possibile ammirare delle antiche botti artigianali, realizzate direttamente in loco da un artigiano austriaco, con la particolarità che sono state assemblate unicamente mediante il sapiente incastro delle assi lignee, senza usare nemmeno un chiodo, e venivano usate per la produzione di vino per il duca, sino al secolo scorso. Indubbiamente l’altro fiore all’occhiello del locale è la terrazza panoramica che affaccia direttamente sul nostro splendido mare, e permette di abbracciare con lo sguardo un lunghissimo tratto di costa, sicuramente la cornice ideale per un romantico aperitivo al tramonto.



Quali emozioni vorresti provassero i tuoi clienti entrando alle Cantine San Flaviano?

Vorrei che si sentissero immersi in un’atmosfera magica, io e il mio staff ce la mettiamo tutta per coccolare i nostri clienti e farli sentire a casa e, perché no, per far conoscere loro una parte importante della storia di Giulianova, anche e soprattutto ai turisti. Devo dire che molti rimangono ammaliati, oltre che dalla cucina, che propone piatti originali, che magari non si trovano altrove, anche dalla storia della nostra bella cittadina.



Durante un periodo no cosa ti ha aiutato a tenere duro? La resilienza, la caparbietà tipica nostra abruzzese o cosa?

Sicuramente la mia indole tipicamente abruzzese è stata di fondamentale importanza, ma posso dire senza ombra di dubbio che senza il sostegno della mia famiglia non ce l’avrei fatta, l’incertezza era tanta e non nascondo che ci sono stati momenti davvero bui.



Domanda di rito: com’è cambiato il tuo lavoro durante il Covid e che progetti vedi dinanzi a te?

Durante il Covid, purtroppo, ho subito la chiusura forzata come tutti i ristoranti, ma sicuramente la salute viene prima di tutto, quindi nonostante le ingenti perdite a livello economico va bene così, in realtà è stata anche un’occasione per riposarmi e riscoprire i piaceri dello stare in famiglia, anche se la motivazione era, purtroppo, tutt’altro che gradevole.
Per il futuro spero che le cose vadano sempre meglio e sicuramente ci saranno tante sorprese e novità, non solo dal punto di vista culinario, ma per ora non voglio svelare nulla…
continuate a seguirci!





Finisco di scrivere le ultima battute dell’intervista e il ricordo vola a noi due, di gran lunga più giovani e con un po’ di sogni in testa. Lui sempre a fare il burlone e con la passione per la buona cucina di sicuro tramandata da sua madre, io invece sognavo di giocare a far l’artista e così tra una risata e una birra è nato il nostro patto: se mai Guido avesse aperto un locale,io avrei esposto da lui.
Di anni ne sono passati ma non vi dirò quanti perché sono una signora, ma quel burlone,ora non è solo il proprietario ma anche lo chef delle Cantine San Flaviano e come artista d’eccezione ci sono io e non è cosa da poco.
E allora che fate? Un aperitivo in terrazza a guardare il tramonto mentre aspettante che lo chef vi prepari la cena non vi stuzzica come idea?

CASACCIA IRENE



Maga Isabella e il regno di Colorandia

Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


“In un piccolo villaggio, di nome Colorandia viveva una maga, di giorno la sua bimba cullava e di notte i colori impastava.
Gialli rossi e blu, maga Isabella realizzava tutto quello che volevi tu. Da ogni luogo, più abili pittori, da maga Isabella chiedevan i colori.”
Può sembrare che io stia raccontando una fiaba ma è così che ho immaginato la mia protagonista di questa nuova intervista.
Oh caspita ho persino scritto in rima!
Lo so che siete curiosi di saperne di più ma lasciatevi che vi presenti per bene Isabella Sanfilippo,una giovane donna che ha rivoluzionato la sua vita,cambiando lavoro e ricominciando da capo.
Follia?Lasciare il sicuro per l’incerto? Signori miei noi siamo artisti,siamo pirati e due onde in più non ci spaventeranno di certo!
Ma ora lasciate che vi lasci alla nostra maga Isabella.
Ecco già la vedo china su i suoi tappi di sughero a far colare l’oro grezzo della sua Ocra Dorata Armena per poi passare al Verde Ghiaccio rubato dalle lacrime di una giovane dama.
Immersa nelle sue pozioni non si accorge che sono dietro di lei.
-Maga Isabella svelatemi il vostro segreto-
E che l’intervista abbia inizio.



Isabella parlami di te. Chi c’è dietro questo logo?

Dietro il Pastellificio ci sono io, un pesciolino che segue il flusso. Il logo è un cerchio, una forma con cui mi sono sempre identificata perchè mi calma e il colore….bè è l’indaco pastello, che mi smuove in un modo troppo forte da descrivere, è anche il colore da cui prende il nome la mia piccola azienda: la parola “pastello” indica in generale una massa pastosa lasciata essiccare e asciugare.



Cosa ti ha spinto alla tua professione di restauratrice e per quanto tempo lo sei stata?

Ho intrapreso il restauro perché volevo poter studiare e toccare oggetti appartenuti a persone che hanno fatto la storia. Questa era l’idea magica che mi ero fatta, ed è stato così, le aspettative non furono tradite. Per 10 anni sono stata restauratrice di opere tessili, tessuti archeologici e arazzi, passando da stagista a responsabile di laboratorio specializzata in tintura, da Bolzano a Firenze, poi Prato, per passare da Milano e infine a Piacenza.

Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


Durante il tuo percorso qual è stato l’intervento di restauro che più ti ha gratificato?

Ho lavorato confrontandomi un po’ con tutte le realtà, Ministero dei Beni Culturali, musei privati e pubblici, Curie e anche collezionisti privati.
Ma il lavoro che in assoluto mi ha portato all’apice della felicità, è stato restaurare il telo funebre della principessa egizia Ahmose, un preziosissimo manufatto in lino del 1400 a.C unico al mondo perché al di sopra vi era dipinto il Libro dei Morti. La cosa meravigliosa è stato occuparmene all’interno del Museo Egizio di Torino in occasione della riapertura del 2015, insieme a un pool di restauratori scelti di tutti i materiali: papiri, sculture, sarcofagi, metalli.



Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


Come e perché hai scelto di cambiare lavoro?

Capii che qualcosa non andava quando la burocrazia cominciò a prendere il sopravvento e molti veli caddero mostrando realtà in cui io non riuscivo ad adattarmi. Il restauro è un mondo di regole ferree e non c’è spazio per la “creazione”, il margine artistico è molto poco e io ne soffrivo dopo tutti quegli anni.
Era un legaccio che stava per spezzarsi e così è andata: se prendo una decisione non torno indietro, perché significa che ci ho riflettuto a fondo e il mio corpo rifiutava fisicamente ed emotivamente di proseguire.
Ho avuto la mia bambina Lea e nel frattempo dipingevo e disegnavo, ho creato molte cose e ho fatto esplodere tutto quello che ribolliva da 10 anni dentro di me; quando si placò l’anima tuttavia mi resi conto che ormai il restauro aveva modificato una parte importante di me: in primis la continuità lavorativa, non potevo stare solo con commissioni da illustratrice quindi accettai un lavoro come colorista di laboratorio vicino casa.
Il campo della cosmetica non era decisamente il mio e lo abbandonai, ma è stato un anno in cui ho appreso una quantità di nozioni, tecniche e strumentazioni tali, che il mio cervello ha creato una serie di evoluzioni, fino alla domanda fatidica “Ma perché devo buttare via tutto, non posso applicare tutto quello che so e fare colori per dipingere?” Più o meno è andata così.

Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


Quando hai avviato il tuo laboratorio, pensavi a questo grande apprezzamento da parte del pubblico?

Non ero sicura, intorno a me vedevo molti che facevano colori, sembrava che bastassero pochi passaggi per ottenere un acquerello, invece no: personalmente ho passato mesi e mesi a testare e fare prove, prima di arrivare alle ricette finali corrette ho fatto circa una cinquantina di test, per offrire un prodotto artigianale stabile e di alta qualità, curato sotto ogni aspetto. La nascita del logo, del sughero lavorato e dei colori del Pastellificio così come lo vedete è stato un fluire continuo, ho lasciato andare le mani e il cervello. Forse una trance! Penso piaccia il fatto che io parlo dei miei colori come se avessero un’anima, una personalità: quando li lavoro ognuno ha il suo carattere, sono loro che mi dicono cosa devo fare e come devo trattarli.

Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


Parlaci di cosa accade nel tuo piccolo laboratorio delle meraviglie. Quando un’artista acquista i tuoi colori in realtà cosa porta nel suo studio?

Cosa si portano? Portano un legame. Cerco di fare il colore in modo da aiutare l’artista a connettersi con la parte materica, ricordandogli un linguaggio ormai quasi dimenticato: la morbidezza del sughero, lo spago, la confezione tonda dal suono caldo e la ceralacca bianca, li ho sviluppati per ricreare un ponte sensoriale che negli anni si è perso. Usare i colori del Pastellificio significa provare odori, texture ed effetti ottici molto diversi dalle grandi case produttrici, che il colore lo hanno domato e piegato. Io lo lascio parlare.
Cerco di usare materiale artigianale e riciclabile per il packaging, al momento mi occupo da sola di tutti gli aspetti: i sugheri li lavoro personalmente in laboratorio, alcuni pigmenti li macino e setaccio qui, lavoro principalmente la sera per godermi la mia bimba durante il giorno, nel posto dove più di trent’anni fa i miei suoceri avviarono la loro gastronomia. Oggi è il mio Pastellificio.

Isabella tu sei una donna, una mamma, una restauratrice, un’ illustratrice e questo spiega la passione e la dedizione al colore e ad oggi sei la fondatrice del Pastellificio Sanfilippo. Cosa frulla ancora nella tua testa? Nuovi progetti?



Di nuovi progetti ce ne sono e alcuni già in fase organizzativa: tutto legato ovviamente al colore, ai pigmenti e al loro linguaggio, mi piace evolvere e approfondire in modo maniacale da buona restauratrice! In autunno comincerò dei corsi di autoproduzione di acquerelli a Bergamo, dove si insegnerò a osservare, conoscere e ascoltare il colore per creare dei propri acquerelli.

Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


E’ giunto il momento di congedarmi da maga Isabella, oramai il sole è tramontato sul villaggio ed io riprendo il cammino verso il mio mondo. Chiudo il mio taccuino e torno alla realtà tra scartoffie, fogli accartocciati eppure avverto qualcosa di diverso e lì, in un angolino scorgo un piccolo pacco. Cosa mai potrà esserci? Ma guarda, maga Isabella il suo segreto non l’ha svelato ma in cambio ha lasciato un pezzo della sua magia, una piccola scatolina con dentro preziosi colori che ricordano terre lontane.
Ora c’è solo una cosa da fare! Scusate ma ho un mondo da colorare!

di Casaccia Irene



Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo

Sognando la spensieratezza nelle opere di Mario Bova

Mario Bova, Dondolando, matita su foglio liscio, 60 x 65 cm


Le radici dell’artista sono rintracciabili nella spensieratezza incarnata dall’opera.
Partendo dalla raffigurazione dell’opera Dondolando, osserviamo una bambina che con lo sguardo colmo di gioia dondola libera sull’altalena.
L’artista contestualizza l’opera nel momento storico che stiamo attraversando che purtroppo ci ha tolto la libertà.
Per ciò che concerne la simbologia del bambino, sappiamo che questo è più vicino, rispetto all’adulto, al momento della nascita quindi più vicino anche alla dimensione spirituale dell’essenza umana. Il bambino è la radice dell’adulto, una fase spensierata che noi tutti abbiamo attraversato.

Mario Bova, Carbothello su Pastelmat, 90 x 70 cm


Anche l’opera Bolle di sapone viene inserita, dall’artista, nel contesto attuale, dove purtroppo siamo stati privati della nostra libertà. Le bolle di sapone che fluttuano nell’aria vogliono incarnare questo senso di spensieratezza, una profonda riflessione sul valore della vita e sull’importanza di essa: solo mediante la raffigurazione di un bambino possiamo percepirne le molteplici sfumature. Infatti l’opera è intrisa di colore: dagli alberi, ai vestiti della piccola, alle meravigliose sfumature cromatiche delle stesse bolle.
Dal punto di vista tecnico l’artista ha reso i dettagli con estrema attenzione, osserviamo il viso della bambina con le labbra protese nel soffiare le bolle. Mario riesce a rendere la realtà tangibile, riprendendo -in questo caso- tutte le caratteristiche tipiche degli atteggiamenti dei bambini, l’artista cattura frammenti di realtà e li tramuta in emozione che emerge forte e fluida mediante l’opera.

di Elisabetta La Rosa



Irene Casaccia: un animo a colori

Irene Casaccia, Inferno e Paradiso, acrilico su tela, 100 x 100 cm


Dalla forza struggente del colore l’artista Irene Casaccia da vita alla serie Flame: fiamma. L’artista rappresenta le radici della sua anima mediante le opere di carattere astratto che danno vita alla sua vera essenza, che Irene plasma nella tela mediante il suo pensiero che si manifesta forte e deciso, dominato da colori intensi ed accesi.
Dragons rappresenta un animo forte, in grado di superare i tormenti della vita.
Analizzando la simbologia del colore, interfacciandoci con le sfumature di blu, emerge un animo equilibrato intervallato da momenti cupi come se l’artista, a volte, si soffermasse su quei Gravity Problems e li trasponesse nella tela.
Il colore arancione, misto al rosso incarna la passione, la creatività tipica di un animo artistico.
Infine Irene ci sorprende con il titolo: Dragons. Entrando nel vivo della simbologia del drago, esso richiama la forza, il senso di protezione. Nella filosofia Junghiana, il drago rappresenta l’ombra la parte più ostile dell’essere umano, che però non va rinnegata ma accolta affinché riusciamo a convivere con il nemico peggiore: noi stessi!



Irene Casaccia, Dragons, Acrilico su tela, 90 x 100 cm


L’artista fa vivere questo concetto tramite le straordinarie cromie dell’opera.
Continuando sul filone della serie Flame, con il dittico Inferno e Paradiso, Irene ancora una volta plasma nelle sue opere l’essenza di se stessa dove si contrappongono due poli opposti che coesistono nell’animo umano.
Anche in questo dittico il cuore pulsante è plasmato dalle emozioni, radici vive del pensiero artistico di Irene.
Da un’attenta analisi del cromatismo, osserviamo come emerga dalle opere il flusso artistico di un animo dalle molteplici sfumature forti che si addensano sulla tela.
Nella porzione di destra, il Paradiso, emerge la purezza di un animo ricco di sogni e speranza, Irene rappresenta la calma e l’equilibrio umano per poi convergere in un’esplosione di colore rosso che divampa come fosse fuoco, ricordando proprio le fiamme degli inferi.
I colori si mescolano, si aggrappano e si addensano gli uni agli altri fondendosi in un vortice di cromie, la rappresentazione dell’incastro dell’animo umano composto da sentimenti positivi e discordanti.
L’artista mostra, mediante le sue opere, la verità di quell’Io visibile a pochi, invitandoci a guardare davvero mediante il cuore.

di Elisabetta La Rosa



Le donne e l’arte al tempo del Covid19. Irene Casaccia

Inno alla gioia. Acrilico su tela 50×70


Irene Casaccia
Ecco ci siamo! Quel giorno è arrivato,oggi si chiude il cerchio e mi racconto attraverso domande non mie. Ed eccole dinanzi a me come un plotone d’esecuzione che sogghigna prima di colpire. Mordo il labbro e penso a quale malsana idea avessi avuto nel tirarmi dentro questa intervista, ma ormai sarebbe da disertori abbandonare la chiamata alla battaglia. E così il primo ufficiale Loana Palmas mi fa sedere e da inizio a quello che per me sarà un vero e proprio interrogatorio.



Innocence


Ora tocca a me,come mai hai deciso d’intervistare donne che si occupano d’arte e cosa ti ha portato ad avvicinarti ad essa ?
In realtà questi articoli sono un mio omaggio a tutte quelle donne che oltre alla loro carriera artistica che sia principale o secondaria, ogni giorno si ritrovano come giocolieri funamboli a percorrere un filo con almeno dieci birilli in mano che volteggiano. Nessuna di loro se pur barcollando farà cadere un solo birillo perché prezioso anche se quell’equilibrio a volte è troppo precario. E poi diciamola tutta: sai che noia ancora a parlare di uomini! Nei secoli non s’è fatto altro e a noi solo pochi accenni. Chi può dire che non saremo le prossime Frida Kalo.
Per quanto riguarda l’arte,questa sfacciata amica nemica mi ha ossessionato fin da piccola. Arrivare dal disegno alla pittura è stato per me facile come respirare e anche se a volte mi soffoca, non riesco a farne senza.
Bevo un sorso d’acqua e l’agitazione diventa palpabile ma so già che la prossima domanda arriverà come una fucilata, infatti Loana cede il posto al suo commilitone Valentina De Chirico. Mi punta la lampada contro e tuona.



Particolare di Innocence acquerello su carta 30×40


Quale soggetto ti piace e ti appaga di più dipingere e quale proprio non riesci a mettere su tela?
Troppo facile per me rispondere. Di sicuro amo ritrarre volti ma in particolar modo i loro occhi. Carpire ogni loro segreto che pian piano si palesa a me sotto il tratto delle mie matite. Entrare in sintonia con i miei soggetti è un viaggio verso l’ignoto,oscuro ed eccitante, d’altro canto quello che non riesco a mettere su tela sono proprio i miei occhi, forse voglio tener quel segreto celato al mondo. La fatica inizia a farsi sentire con il colpo sferrato dal tenente Romina Gadau.



Irene Casaccia


Mi piacerebbe conoscere le tue origini artistiche e come li vedi realizzati nel tuo futuro e dove vorresti arrivare?
I pugni si stringono e lo stomaco fa male come allora. Non sono ancora pronta a parlarne liberamente ma ti basti sapere che per quindici anni sono stata lontana dall’arte e non c’è giorno che io non mi penta di questo. Ho incontrato il mio maestro e come sua allieva ho ricominciato a respirare la mia vera natura. Mi capita di chiedermi come sarebbe stata la mia vita facendo la scelta giusta. Sicuramente oggi non avrei ne un marito ne due splendidi figli e per loro rifarei lo stesso percorso. Il mio futuro? Al momento vedo solo nebbia fitta che spero si diradi con il tempo.
Tiro un respiro e chiedo una vodka ma ottengo un bicchiere d’acqua dall’ufficiale dietro di me e mentre butto giù quello che vorrei fosse alcool, lei il comandante Fantasvale mi toglie il bicchiere e procede.



Dragons. Acrilico su tela 80×80


Nei tuoi lavori noto una particolare sensibilità per il colore ma soprattutto per gli accostamenti cromatici audaci. Che relazione hai con il colore? E se dovessi per forza scegliere: arte astratta o figurativa?
-Sicura di non volermi dare quella vodka?- A quanto pare finge di non sentire e così rispondo. Il colore fa parte della mia natura piena di sfaccettature, non a caso gli accostamenti sono audaci, io stessa lo sono nel profondo anche se lo soffoco il mio io vero e dormiente esce e prende il sopravvento in fase creativa. Scegliere tra un astratto e un figurativo? Impossibile, uno compensa l altro… forse morirò tentando.
Cavolo questo interrogatorio sta prendendo una piega diversa da come me l’ero immaginato, e niente non ho il tempo di respirare che ecco arrivare nella sua divisa piena di medaglie al valore il generale Erika Azzarello che gira per un po’ intorno a me pensando a dove colpirmi.



Inferno e Paradiso. Dittico Acrilico su tela 100×100

Irene hai una bacchetta magica per esaudire un tuo desiderio, qual è il progetto artistico che vorresti realizzare?
Solo uno!!?? La mia solita fortuna…ok lasciami pensare. Oh ma certo uno in prima fila c’è e si chiama “Muse dormienti”. Rendere finalmente tutti quei volti finalmente immortali e togliermi qualche sassolino dalle scarpe.
Dire a tutti coloro che pensavano alla mia totale rinuncia e fallimento: ecco guardatemi bene,io qui sono e qui resto! Sentirmi la nuova Frida, libera finalmente di volare.
Che progetto ambizioso il mio e mentre parlo ad alta voce,tutto è tornato normale. Io seduta al mio pc, caffè(quello non manca mai)ma nessuna lampada sparata contro il viso,nessuna stanza interrogatorio stile KGB, e loro, le mie carceriere sparite in un battito di ciglia. Speravo nella vodka ma neanche quella! E così non mi resta che concludere questo bizzarro articolo così sopra le righe proprio come me ma senza prima ringraziarvi tutte come si deve .
Dedico questo articolo a tutte le donne che continuano a far roteare birilli e una dedica speciale alle mie muse: Loana Palmas Miss Lo, Valentina De Chirico, Romina Gadau, Fantasvale, Erika Azzarello.
La vostra prigioniera non vi dimenticherà.



di Irene Casaccia

Lacrimosa olio su tela 60×80