Anche questa giornata sta giungendo al termine, la cinquantesima, sessantesima non so, ormai chi le conta più!
Non passa giorno che io non mi senta simile ad una reclusa, guardo da una finestra la vita che continua e quando sono veramente fortunata esco per recarmi nella mia azienda lontana dal contatto umano. Unica contiguità che riesco ad avere con un altro essere umano, è durante la coda al supermercato. Ci si scambia parole di conforto con quelle persone che in una situazione normale neanche guarderesti in faccia.
Lo so lo so, stasera ho pensieri strani. Inquietudini che girano nella mente di un’artista che gioca a fare la giornalista e trovo questo confronto quasi divertente. Così dopo uno sguardo alla posta elettronica, scorgo lei: l’mail che aspettavo. La mia prossima intervista.
Dal Veneto alla Sicilia basta solo un clic…niente autostrade, niente traffico, solo la mia fervida immaginazione che mi porta comodamente seduta nel salotto di Erika Azzarello. Tra una granita alle mandorle e una brioche col tuppo (oh se devo immaginare voglio farlo bene)io ed Erika ci raccontiamo della nostra conoscenza ai suoi corsi. Però il tempo vola ci diciamo ridendo. E si tra i vari allievi di questa bella catanese c’ero anch’io ma d’altronde come potevo non farne parte! Le chiedo di mostrarmi i suoi lavori e lei come un Cicerone mi fa strada verso il suo studio e appena entro il respiro lì si ferma. Nella luce che entra tra le tende mosse dal vento di Aprile, corpi sinuosi, volti austeri e fieri si mostrano a me senza filtri. Erika è senza dubbio un’artista con un grande carisma e in ogni suo lavoro questo ascendente traspare. A volte è solo un tocco lieve, impalpabile come soffio di pastello, a volte è graffio nero e deciso di china. Ma ora basta perdere tempo e lasciamo che sia lei a raccontarsi.
Domanda di rito, Erika. Parlami un po’ di te. Come sei arrivata all’arte? Qual è stato il tuo percorso?
Come ci sono arrivata non lo ricordo, avrò avuto 2 anni! I miei genitori a volte raccontano che stavo sempre con la penna (e sottolineo penna, non matita!) in mano, anche quando non avrei dovuto… ehm…
Aneddoti a parte, il disegno è sempre stato un grande compagno. In vari modi, a seconda dell’età: dai raccontini grafici delle elementari fatti con la mia compagna di banco o a casa, agli abiti di alta moda dell’adolescenza e così via fino al diploma. Ma il tempo era sempre meno e con l’università è divenuto pari a zero. Così ho sotterrato questo impulso in fondo al cuore e per anni ho smesso del tutto, perché per me era inaccettabile dedicare le briciole del mio tempo ad una cosa che amavo. Solo 15 anni dopo, ho realizzato che facevo solo cose che non mi piacevano da troppo tempo… non ero soddisfatta di me, ne di quello che stavo facendo; allora mi sono fatta coraggio e ho ripreso la matita, contemporaneamente mi sono iscritta ad un corso di pittura. Non avevo mai studiato il colore e avevo bisogno di un impegno fisso che mi tenesse inchiodata a questa cosa e non mi facesse mollare. Da allora non ho più smesso e dopo qualche anno mi ci sono dedicata completamente. Sono molto fortunata per averlo potuto fare, per aver potuto scegliere chi volessi essere. E la mia vita è cambiata totalmente, sono cambiata come persona e tornando indietro lo rifarei ancora, ma soprattutto, lo farei prima.
Spesso nei tuoi dipinti c’è un focus sulle mani, quasi sempre tue, ritratte in diverse pose ma tutte unite da un filo conduttore: la forza. A loro puoi aggrapparti senza cadere.
È questo che volevi trasmettere o c’è altro?
Le mani non sono arrivate subito nei miei lavori, ma ad un certo punto ho capito che mi piaceva ritrarle e che anche da sole avevano una potenza espressiva enorme, direi pari a quella degli occhi. E allora spesso le rendo protagoniste per dare un senso simbolico a quello che voglio trasmettere e che io stessa provo. La serie Gravity ne è un esempio. Volevo delle inquadrature inusuali, quasi macro e che spostassero il punto di vista dell’osservatore che di solito è dall’alto o ad altezza occhi; in Gravity invece parte dal basso, ti devi sdraiare a terra per avere quella visuale. In qualche modo questo fa riflettere sulla nostra esistenza di solito fin troppo comoda, finché arriva il giorno in cui “cadiamo”, allora tutto cambia e diviene chiaro quanta importanza hanno le piccole cose di ogni giorno.
Dall’olio all’acrilico passando per i pastelli e gli inchiostri fino alla trasparenza dell’acquerello. In quale di queste tecniche troviamo la tua dimensione?
Pensandoci potrei paragonare le varie tecniche ad altrettante storie d’amore. La matita è il primo amore, da cui torno quando ho bisogno di qualcosa di immediato; con l’olio ho un eterno conflitto, lo prendo e lo lascio, ma in effetti poi tocca ammettere che mi dà grandi soddisfazioni; con l’acrilico ho un rapporto di opportunismo, ha tentato di sedurmi ma non ci è ancora riuscito; il pastello è stato una passione, di recente un po’ affievolita, ma che ha dei sporadici ritorni di fiamma; per gli inchiostri liquidi e gli acquerelli ho un timore reverenziale, non mi sento ancora del tutto a mio agio ma ne ho un grande rispetto e mi aiutano ad imparare a lasciarmi andare di più; e infine c’è il rapporto con la biro, che mi rilassa, mi ricongiunge alla dimensione più intima di me, è un po’ come quelle persone a cui confidi tutto, con cui puoi essere sempre te stessa. L’ho scoperta tardi (non contando i disegnini della mia infanzia) ed è incredibile quello che si può fare con una semplice penna, è un mondo meraviglioso.
Corpi sinuosi frammentati da colpi di pennello o tratti graffianti che scorrono su carta, catturano l’occhio del fruitore. Se potessero parlare cosa direbbero?
Non decido io del tutto cosa dicono, perché chi guarda, inevitabilmente, vi si rispecchia in base alla propria vita e in fondo è giusto così. I miei lavori sono prevalentemente autobiografici, ci sono i miei pensieri, quello che sto vivendo in un determinato periodo e che cerco di buttare fuori da me per evitare che mi sovrasti. Quindi forse direbbero “ecco, è così che mi sento, io sono questa e spero che tu mi comprenda, anche se non so dirlo a parole”.
Sono stata tua allieva in due corsi online. Vista la grande richiesta sui social, ti piacerebbe viaggiare con dei tuoi workshop? Insegnare come una scuola d’arte itinerante?
E sei stata un’ottima allieva!
Anche se io preferisco considerarvi “compagni di viaggio”; spero di essere riuscita sempre a trasmettere l’idea che un percorso creativo è soprattutto uno scambio di esperienze. Dai miei corsisti ho imparato molto e sono grata per la fiducia nei miei confronti, l’impegno e l’entusiasmo che nel tempo molti di voi hanno dimostrato, anche dopo i corsi.
L’idea dei workshop mi ha sfiorato più di una volta, ma non ho mai approfondito i vari aspetti pratici. Dovrebbe essere un’esperienza che fa sentire tutti a proprio agio e con zero stress, per cui è una grande responsabilità, forse avrei bisogno di un collaboratore che attenzioni il lato organizzativo. Per la serie: o si fa bene o niente.
Ma mi piacerebbe molto; trascorrere il tempo con persone che condividono la stessa passione è un’esperienza che ti rimane nel cuore: l’ho provato partecipando io stessa a dei workshop, in passato.
Domandone di rito. Cos’è l’arte per te e come è cambiata al tempo del Covid19?
Leggo e sento spesso di persone che in questo periodo stanno riscoprendo il valore di un tempo più dilatato, il piacere dei piccoli gesti quotidiani, dello stare in famiglia, ecc. ecc. Tutte cose che per la fretta e la routine avevano tralasciato. Mi fa ovviamente piacere. Ma se analizzo solo me stessa, sento che questo periodo a me, invece, non sta portando granché di buono.
Mi spiego… io di questo virus non avevo bisogno. Perché il valore del tempo, degli affetti, del respiro profondo per rigenerarsi, della bellezza di una giornata al sole o del fare qualcosa che ci rende felici, io li ho compresi già da anni. Anzi, questo momento ha bloccato una serie di progetti personali e lavorativi a cui tengo e che ho dovuto mettere in pausa forzata per il bene mio e di chi ho accanto. E’ giusto farlo, ma non posso dire di esserne felice e anche la sfera creativa ne sta risentendo, in quanto per me è strettamente collegata allo stato d’animo.
Il “dopo” non so proprio come sarà, sicuramente le opere che usciranno dagli studi e dai laboratori di tutti noi conosceranno una nuova dimensione. Ma credo che nessuno sappia ancora quale. E’ troppo presto per dirlo, perché ciascuno avrà elaborato dentro di sé una percezione strettamente personale e quindi diversa. E anche l’arte intesa come settore subirà dei cambiamenti: vorrei sperare in meglio, nel dare prevalenza alla sostanza più che all’apparenza e ai talenti più che ai personaggi.
E’ giunto il momento di ripartire. Il mio tempo qui è terminato ed Erika e io ci salutiamo come due gentil donne di un tempo passato eh si anche questa è la Sicilia. Mi allontano dal sole di Catania, e nuovamente odo quel clic che mi riconduce qui, seduta davanti al PC. Qui è sera e piove da stamattina. Ah che darei per una granita alle mandorle!
di Casaccia Irene