Incompiuta

Irene Casaccia

Non cerco la perfezione, non cerco la bellezza, sono effimere e durano come il battito di ali di una farfalla.
Sono alla ricerca costante di me attraverso una pennellata di colore, un segno su carta…piccoli frammenti di felicità che mi danno respiro.



Spesso in coda al supermercato o seduta ad una caffetteria, osservo discreta i volti dei miei sconosciuti e ignari modelli.



Un fronte corrucciata di quella donna che parla a voce  alta al telefono, gli occhi ancora assonnati di chi si è buttato giù a fatica dal letto.
Una cicatrice o una ruga che solcano occhi che han visto sia tempi di magra che di abbondanza, per me sono bagaglio di vita creativa.
Memorizzo volti ,emozioni e più  frequentemente imperfezioni che renderanno in futuro i miei ritratti vivi e liberi di raccontarsi attraverso me, una piccola artigiana del segno.



E in una sera dove tutto là fuori corre all’impazzata, io davanti un foglio bianco, chiudo gli occhi, respiro e nel preciso istante in cui li apro, ho chiaro davanti a me ciò che voglio.

Vado allora alla ricerca dei miei tanti taccuini dove settimane prima, tranquillamente sdraiata a prendere il sole, avevo abbozzato un mezzo volto con uno sguardo sognante e malizioso. Non m’interessa il volto completo ma solo quello sguardo e l’espressione che mi aveva attirato.
Pensai: a cosa serve un ritratto completo se mi colpisce solo una sua parte?



Ed è così che in una sera di fine estate io misi su carta il primo segno di “Incompiuta “
“Donami i tuoi occhi “continuavo a ripetere ” io in cambio ti donerà l’immortalità . Su questa tela non importa che tu sia donna o uomo…sai e sarai l’eterno che muta in eternità”. La prima Incompiuta era ormai al termine ma ne volevo ancora .
Altra sera nuovo foglio ed io consapevolmente attratta da esso.
Chiudo gli occhi respiro e dimentico persino chi sono. ” Ora per il tempo che mi concederai tu apparterrai a me”. Un’altra Incompiuta mi guarda dritta negli occhi ormai.
Questa estate sembra non voler finire ed io irrequieta per il caldo trovo pace con il mio ventilatore…un breve sguardo alle penne,
ed eccomi di nuovo lì in piena notte alla ricerca di un nuovo tumulto .
“Nulla è eterno” sento rimbombare nella mia mente. Tutto è mutabile e come granelli di sabbia scivolano via”



Eppure in quell’istante ben preciso io fermo lo scorrere del tempo . Ultima Incompiuta prende respiro.

Ci saranno altre Incompiuta? 

Di sicuro torneranno a trovarmi 
perché  c’e sempre una parte di noi che nascondiamo al mondo … in fondo siamo tutti un po’ incompiuti.
Chiuderò gli occhi e respirando…



di Irene Casaccia



Cantine San Flaviano. Cuore, passione e arte.



Dopo un lungo tempo di latitanza torno con una nuova e inusuale intervista. Oggi vi porto per mano per le vie della mia Giulianova salendo per gli scalini della salita Monte Grappa dove ci attenderà seduto con il suo inseparabile violoncello,la statua di Gaetano Braga e per una frazione di secondo ci sembrerà quasi di vederlo avvicinare l’archetto al violoncello e da lì via alla melodia che ci accompagnerà fino alla Basilica di San Flaviano che imponente si mostra lungo il corso con il suo cupolone.
Arriviamo in piazza Buozzi dove piccole botteghe aprono le loro porte per invitarci a degustare un calice di vino con un buon tagliere di prodotti nostri, quelli veri che raccontano di noi e della nostra Giulianova.
Ed è qui che voglio fermare la vostra attenzione; dinanzi le Cantine San Flaviano, un ristorante nato sotto un antico palazzo,nato dal sogno di un ragazzo ormai uomo,sacrificio,amore per la cucina,dedizione e una sana buona cocciutaggine di non mollare mai anche quando la vita vuol buttarti giù.
Oggi vi parlo di resilienza,di amore, cuore e arte perché in ogni luogo lei si cela.
Lascio la parola a lui Guido Orsini, mio amico da più di vent’anni e con un patto che ci ha uniti.





Guido raccontaci un po’ di te. Come sei arrivato alla ristorazione?

Il mio percorso formativo e lavorativo è particolare, anche se di questi tempi non è poi così raro approdare ad un lavoro completamente diverso rispetto a quello per cui si è studiato. Mi sono laureato in giurisprudenza nel 2000, ho lavorato per qualche anno nel settore delle agenzie di lavoro interinale, dopodiché ho ricoperto il ruolo di project manager in una multinazionale Italo-francese che si occupava di energie rinnovabili, dirigendo un cantiere nella Puglia salentina in cui ho curato e diretto la realizzazione del più grande parco fotovoltaico in Europa. Per questo ho trascorso cinque anni in Salento ed è un’esperienza che mi ha arricchito molto, sia dal punto di vista lavorativo che personale. Una volta finita questa esperienza sono tornato a Giulianova, dove ho avuto occasione di avvicinarmi alla ristorazione per la prima volta in maniera professionale, lavorando per due anni come cuoco per un noto ristorante giuliese, anche se è una passione che coltivo sin da ragazzo. Durante questo periodo, anche grazie all’esperienza maturata, ho deciso di aprire un ristorante tutto mio.



Il connubio Salento Abruzzo può sembrare azzardato ma? Continua tu

Sì, è vero, a prima vista potrebbe sembrare un connubio strano e quasi privo di logica, ma in realtà non è così. Sicuramente il mio lungo soggiorno in Puglia mi ha dato l’occasione di apprezzare le prelibatezze della cucina locale e l’idea di riproporle e farle conoscere nella mia terra d’origine, ma non è solo questo il motivo.
Infatti il palazzo dove si trova il mio ristorante altro non è che l’antico palazzo ducale dei duchi di Acquaviva: esso, infatti, fu dimora di Giulio Antonio Acquaviva, duca di Atri, (Atri, 1428 circa – Minervino di Lecce, 7 febbraio 1481), fondatore della città di Giulianova. Dopo la battaglia di San Flaviano (25 luglio 1460), l’antico insediamento fu saccheggiato dai soldati di Matteo di Capua e ridotto in macerie. Invece di riedificare la città, Giulio Antonio Acquaviva preferì costruirne una nuova più in alto, nel 1471, vicino alla città antica, che prese il nome, appunto, di Giulia Nova, in onore del suo fondatore.
Nel 1480 Giulio Antonio Acquaviva si recò in Puglia per combattere i Turchi, che avevano espugnato Otranto e minacciavano Brindisi. La sua fama è legata alla campagna per la riconquista di Otranto (1481), durante la quale perse la vita in un’imboscata. Questo stretto legame tra le due regioni, testimoniato dalla vita del nobile di Atri, mi ha indotto a proporre percorsi enogastronomici capaci di far assaporare le primizie di entrambe le terre, in un contesto che conserva ancora intatta la suggestione di un’epoca lontana.
Il tuo locale si trova proprio nella piazza dove maestoso si affaccia la nostra cupola di San Flaviano. Raccontaci del tuo ristorante gioiello che affaccia sul mare.
Ti ringrazio per la bella definizione del mio locale, in effetti è davvero un piccolo gioiello, sia a livello storico che paesaggistico. È incastonato nell’antica cinta muraria di Giulianova e racchiude quelli che potremmo non a torto definire dei piccoli tesori, a partire dalla cantina, dove è possibile ammirare delle antiche botti artigianali, realizzate direttamente in loco da un artigiano austriaco, con la particolarità che sono state assemblate unicamente mediante il sapiente incastro delle assi lignee, senza usare nemmeno un chiodo, e venivano usate per la produzione di vino per il duca, sino al secolo scorso. Indubbiamente l’altro fiore all’occhiello del locale è la terrazza panoramica che affaccia direttamente sul nostro splendido mare, e permette di abbracciare con lo sguardo un lunghissimo tratto di costa, sicuramente la cornice ideale per un romantico aperitivo al tramonto.



Quali emozioni vorresti provassero i tuoi clienti entrando alle Cantine San Flaviano?

Vorrei che si sentissero immersi in un’atmosfera magica, io e il mio staff ce la mettiamo tutta per coccolare i nostri clienti e farli sentire a casa e, perché no, per far conoscere loro una parte importante della storia di Giulianova, anche e soprattutto ai turisti. Devo dire che molti rimangono ammaliati, oltre che dalla cucina, che propone piatti originali, che magari non si trovano altrove, anche dalla storia della nostra bella cittadina.



Durante un periodo no cosa ti ha aiutato a tenere duro? La resilienza, la caparbietà tipica nostra abruzzese o cosa?

Sicuramente la mia indole tipicamente abruzzese è stata di fondamentale importanza, ma posso dire senza ombra di dubbio che senza il sostegno della mia famiglia non ce l’avrei fatta, l’incertezza era tanta e non nascondo che ci sono stati momenti davvero bui.



Domanda di rito: com’è cambiato il tuo lavoro durante il Covid e che progetti vedi dinanzi a te?

Durante il Covid, purtroppo, ho subito la chiusura forzata come tutti i ristoranti, ma sicuramente la salute viene prima di tutto, quindi nonostante le ingenti perdite a livello economico va bene così, in realtà è stata anche un’occasione per riposarmi e riscoprire i piaceri dello stare in famiglia, anche se la motivazione era, purtroppo, tutt’altro che gradevole.
Per il futuro spero che le cose vadano sempre meglio e sicuramente ci saranno tante sorprese e novità, non solo dal punto di vista culinario, ma per ora non voglio svelare nulla…
continuate a seguirci!





Finisco di scrivere le ultima battute dell’intervista e il ricordo vola a noi due, di gran lunga più giovani e con un po’ di sogni in testa. Lui sempre a fare il burlone e con la passione per la buona cucina di sicuro tramandata da sua madre, io invece sognavo di giocare a far l’artista e così tra una risata e una birra è nato il nostro patto: se mai Guido avesse aperto un locale,io avrei esposto da lui.
Di anni ne sono passati ma non vi dirò quanti perché sono una signora, ma quel burlone,ora non è solo il proprietario ma anche lo chef delle Cantine San Flaviano e come artista d’eccezione ci sono io e non è cosa da poco.
E allora che fate? Un aperitivo in terrazza a guardare il tramonto mentre aspettante che lo chef vi prepari la cena non vi stuzzica come idea?

CASACCIA IRENE



Maga Isabella e il regno di Colorandia

Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


“In un piccolo villaggio, di nome Colorandia viveva una maga, di giorno la sua bimba cullava e di notte i colori impastava.
Gialli rossi e blu, maga Isabella realizzava tutto quello che volevi tu. Da ogni luogo, più abili pittori, da maga Isabella chiedevan i colori.”
Può sembrare che io stia raccontando una fiaba ma è così che ho immaginato la mia protagonista di questa nuova intervista.
Oh caspita ho persino scritto in rima!
Lo so che siete curiosi di saperne di più ma lasciatevi che vi presenti per bene Isabella Sanfilippo,una giovane donna che ha rivoluzionato la sua vita,cambiando lavoro e ricominciando da capo.
Follia?Lasciare il sicuro per l’incerto? Signori miei noi siamo artisti,siamo pirati e due onde in più non ci spaventeranno di certo!
Ma ora lasciate che vi lasci alla nostra maga Isabella.
Ecco già la vedo china su i suoi tappi di sughero a far colare l’oro grezzo della sua Ocra Dorata Armena per poi passare al Verde Ghiaccio rubato dalle lacrime di una giovane dama.
Immersa nelle sue pozioni non si accorge che sono dietro di lei.
-Maga Isabella svelatemi il vostro segreto-
E che l’intervista abbia inizio.



Isabella parlami di te. Chi c’è dietro questo logo?

Dietro il Pastellificio ci sono io, un pesciolino che segue il flusso. Il logo è un cerchio, una forma con cui mi sono sempre identificata perchè mi calma e il colore….bè è l’indaco pastello, che mi smuove in un modo troppo forte da descrivere, è anche il colore da cui prende il nome la mia piccola azienda: la parola “pastello” indica in generale una massa pastosa lasciata essiccare e asciugare.



Cosa ti ha spinto alla tua professione di restauratrice e per quanto tempo lo sei stata?

Ho intrapreso il restauro perché volevo poter studiare e toccare oggetti appartenuti a persone che hanno fatto la storia. Questa era l’idea magica che mi ero fatta, ed è stato così, le aspettative non furono tradite. Per 10 anni sono stata restauratrice di opere tessili, tessuti archeologici e arazzi, passando da stagista a responsabile di laboratorio specializzata in tintura, da Bolzano a Firenze, poi Prato, per passare da Milano e infine a Piacenza.

Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


Durante il tuo percorso qual è stato l’intervento di restauro che più ti ha gratificato?

Ho lavorato confrontandomi un po’ con tutte le realtà, Ministero dei Beni Culturali, musei privati e pubblici, Curie e anche collezionisti privati.
Ma il lavoro che in assoluto mi ha portato all’apice della felicità, è stato restaurare il telo funebre della principessa egizia Ahmose, un preziosissimo manufatto in lino del 1400 a.C unico al mondo perché al di sopra vi era dipinto il Libro dei Morti. La cosa meravigliosa è stato occuparmene all’interno del Museo Egizio di Torino in occasione della riapertura del 2015, insieme a un pool di restauratori scelti di tutti i materiali: papiri, sculture, sarcofagi, metalli.



Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


Come e perché hai scelto di cambiare lavoro?

Capii che qualcosa non andava quando la burocrazia cominciò a prendere il sopravvento e molti veli caddero mostrando realtà in cui io non riuscivo ad adattarmi. Il restauro è un mondo di regole ferree e non c’è spazio per la “creazione”, il margine artistico è molto poco e io ne soffrivo dopo tutti quegli anni.
Era un legaccio che stava per spezzarsi e così è andata: se prendo una decisione non torno indietro, perché significa che ci ho riflettuto a fondo e il mio corpo rifiutava fisicamente ed emotivamente di proseguire.
Ho avuto la mia bambina Lea e nel frattempo dipingevo e disegnavo, ho creato molte cose e ho fatto esplodere tutto quello che ribolliva da 10 anni dentro di me; quando si placò l’anima tuttavia mi resi conto che ormai il restauro aveva modificato una parte importante di me: in primis la continuità lavorativa, non potevo stare solo con commissioni da illustratrice quindi accettai un lavoro come colorista di laboratorio vicino casa.
Il campo della cosmetica non era decisamente il mio e lo abbandonai, ma è stato un anno in cui ho appreso una quantità di nozioni, tecniche e strumentazioni tali, che il mio cervello ha creato una serie di evoluzioni, fino alla domanda fatidica “Ma perché devo buttare via tutto, non posso applicare tutto quello che so e fare colori per dipingere?” Più o meno è andata così.

Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


Quando hai avviato il tuo laboratorio, pensavi a questo grande apprezzamento da parte del pubblico?

Non ero sicura, intorno a me vedevo molti che facevano colori, sembrava che bastassero pochi passaggi per ottenere un acquerello, invece no: personalmente ho passato mesi e mesi a testare e fare prove, prima di arrivare alle ricette finali corrette ho fatto circa una cinquantina di test, per offrire un prodotto artigianale stabile e di alta qualità, curato sotto ogni aspetto. La nascita del logo, del sughero lavorato e dei colori del Pastellificio così come lo vedete è stato un fluire continuo, ho lasciato andare le mani e il cervello. Forse una trance! Penso piaccia il fatto che io parlo dei miei colori come se avessero un’anima, una personalità: quando li lavoro ognuno ha il suo carattere, sono loro che mi dicono cosa devo fare e come devo trattarli.

Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


Parlaci di cosa accade nel tuo piccolo laboratorio delle meraviglie. Quando un’artista acquista i tuoi colori in realtà cosa porta nel suo studio?

Cosa si portano? Portano un legame. Cerco di fare il colore in modo da aiutare l’artista a connettersi con la parte materica, ricordandogli un linguaggio ormai quasi dimenticato: la morbidezza del sughero, lo spago, la confezione tonda dal suono caldo e la ceralacca bianca, li ho sviluppati per ricreare un ponte sensoriale che negli anni si è perso. Usare i colori del Pastellificio significa provare odori, texture ed effetti ottici molto diversi dalle grandi case produttrici, che il colore lo hanno domato e piegato. Io lo lascio parlare.
Cerco di usare materiale artigianale e riciclabile per il packaging, al momento mi occupo da sola di tutti gli aspetti: i sugheri li lavoro personalmente in laboratorio, alcuni pigmenti li macino e setaccio qui, lavoro principalmente la sera per godermi la mia bimba durante il giorno, nel posto dove più di trent’anni fa i miei suoceri avviarono la loro gastronomia. Oggi è il mio Pastellificio.

Isabella tu sei una donna, una mamma, una restauratrice, un’ illustratrice e questo spiega la passione e la dedizione al colore e ad oggi sei la fondatrice del Pastellificio Sanfilippo. Cosa frulla ancora nella tua testa? Nuovi progetti?



Di nuovi progetti ce ne sono e alcuni già in fase organizzativa: tutto legato ovviamente al colore, ai pigmenti e al loro linguaggio, mi piace evolvere e approfondire in modo maniacale da buona restauratrice! In autunno comincerò dei corsi di autoproduzione di acquerelli a Bergamo, dove si insegnerò a osservare, conoscere e ascoltare il colore per creare dei propri acquerelli.

Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo


E’ giunto il momento di congedarmi da maga Isabella, oramai il sole è tramontato sul villaggio ed io riprendo il cammino verso il mio mondo. Chiudo il mio taccuino e torno alla realtà tra scartoffie, fogli accartocciati eppure avverto qualcosa di diverso e lì, in un angolino scorgo un piccolo pacco. Cosa mai potrà esserci? Ma guarda, maga Isabella il suo segreto non l’ha svelato ma in cambio ha lasciato un pezzo della sua magia, una piccola scatolina con dentro preziosi colori che ricordano terre lontane.
Ora c’è solo una cosa da fare! Scusate ma ho un mondo da colorare!

di Casaccia Irene



Isabella Sanfilippo del Pastellificio Sanfilippo

Sognando la spensieratezza nelle opere di Mario Bova

Mario Bova, Dondolando, matita su foglio liscio, 60 x 65 cm


Le radici dell’artista sono rintracciabili nella spensieratezza incarnata dall’opera.
Partendo dalla raffigurazione dell’opera Dondolando, osserviamo una bambina che con lo sguardo colmo di gioia dondola libera sull’altalena.
L’artista contestualizza l’opera nel momento storico che stiamo attraversando che purtroppo ci ha tolto la libertà.
Per ciò che concerne la simbologia del bambino, sappiamo che questo è più vicino, rispetto all’adulto, al momento della nascita quindi più vicino anche alla dimensione spirituale dell’essenza umana. Il bambino è la radice dell’adulto, una fase spensierata che noi tutti abbiamo attraversato.

Mario Bova, Carbothello su Pastelmat, 90 x 70 cm


Anche l’opera Bolle di sapone viene inserita, dall’artista, nel contesto attuale, dove purtroppo siamo stati privati della nostra libertà. Le bolle di sapone che fluttuano nell’aria vogliono incarnare questo senso di spensieratezza, una profonda riflessione sul valore della vita e sull’importanza di essa: solo mediante la raffigurazione di un bambino possiamo percepirne le molteplici sfumature. Infatti l’opera è intrisa di colore: dagli alberi, ai vestiti della piccola, alle meravigliose sfumature cromatiche delle stesse bolle.
Dal punto di vista tecnico l’artista ha reso i dettagli con estrema attenzione, osserviamo il viso della bambina con le labbra protese nel soffiare le bolle. Mario riesce a rendere la realtà tangibile, riprendendo -in questo caso- tutte le caratteristiche tipiche degli atteggiamenti dei bambini, l’artista cattura frammenti di realtà e li tramuta in emozione che emerge forte e fluida mediante l’opera.

di Elisabetta La Rosa



Irene Casaccia: un animo a colori

Irene Casaccia, Inferno e Paradiso, acrilico su tela, 100 x 100 cm


Dalla forza struggente del colore l’artista Irene Casaccia da vita alla serie Flame: fiamma. L’artista rappresenta le radici della sua anima mediante le opere di carattere astratto che danno vita alla sua vera essenza, che Irene plasma nella tela mediante il suo pensiero che si manifesta forte e deciso, dominato da colori intensi ed accesi.
Dragons rappresenta un animo forte, in grado di superare i tormenti della vita.
Analizzando la simbologia del colore, interfacciandoci con le sfumature di blu, emerge un animo equilibrato intervallato da momenti cupi come se l’artista, a volte, si soffermasse su quei Gravity Problems e li trasponesse nella tela.
Il colore arancione, misto al rosso incarna la passione, la creatività tipica di un animo artistico.
Infine Irene ci sorprende con il titolo: Dragons. Entrando nel vivo della simbologia del drago, esso richiama la forza, il senso di protezione. Nella filosofia Junghiana, il drago rappresenta l’ombra la parte più ostile dell’essere umano, che però non va rinnegata ma accolta affinché riusciamo a convivere con il nemico peggiore: noi stessi!



Irene Casaccia, Dragons, Acrilico su tela, 90 x 100 cm


L’artista fa vivere questo concetto tramite le straordinarie cromie dell’opera.
Continuando sul filone della serie Flame, con il dittico Inferno e Paradiso, Irene ancora una volta plasma nelle sue opere l’essenza di se stessa dove si contrappongono due poli opposti che coesistono nell’animo umano.
Anche in questo dittico il cuore pulsante è plasmato dalle emozioni, radici vive del pensiero artistico di Irene.
Da un’attenta analisi del cromatismo, osserviamo come emerga dalle opere il flusso artistico di un animo dalle molteplici sfumature forti che si addensano sulla tela.
Nella porzione di destra, il Paradiso, emerge la purezza di un animo ricco di sogni e speranza, Irene rappresenta la calma e l’equilibrio umano per poi convergere in un’esplosione di colore rosso che divampa come fosse fuoco, ricordando proprio le fiamme degli inferi.
I colori si mescolano, si aggrappano e si addensano gli uni agli altri fondendosi in un vortice di cromie, la rappresentazione dell’incastro dell’animo umano composto da sentimenti positivi e discordanti.
L’artista mostra, mediante le sue opere, la verità di quell’Io visibile a pochi, invitandoci a guardare davvero mediante il cuore.

di Elisabetta La Rosa